La storia di Mia e i suoi genitori  

 

Aperte VirgoletteLa mia storia non so da dove comincia. Forse dovrei partire dalla fine, dalla prima volte che, nello specchio, mi sono vista davvero. Prima mi vedevo solo attraverso i loro occhi. E non mi andavo mai bene. Sempre sbagliata, sempre fuori tempo, sempre inutile. Ogni gesto, ogni parola, ogni mio pensiero, ogni sogno che provavo a condividere, tutto era privo di significato per loro, senza alcun valore. E non si stancavano mai di dirmelo. Me lo hanno ripetuto talmente tante volte che mi domando come avrei potuto non crederci. Loro, che mi hanno dato un posto in questo mondo, è come se in ogni istante mi avessero voluto ricordare di aver commesso un errore, che non meritavo di esserci. E più mi sforzavo di fare ciò che credevo loro volessero da me, più riuscivo a scatenare la loro rabbia nei miei confronti. Ricordo la sensazione, al mattino, quando aprivo gli occhi. Mi domandavo come sarebbe stata la giornata e cercavo dei segnali, analizzavo tutto intorno a me. Il cielo era azzurro o pioveva? C'era profumo di caffè nell'aria? La tv era accesa o spenta? Niente in realtà poteva permettermi davvero di prevedere quanto brutta sarebbe stata quella mattina e poi quel pomeriggio e poi la sera, ma io cercavo un appiglio, qualcosa a cui aggrapparmi per non lasciarmi cadere giù. A volte ho desiderato non aprire gli occhi. Pensavo: che ci sto a fare qui se loro non mi vogliono? Ero solo una bambina. Avevo un diario, ne riempivo le pagine a letto prima di addormentarmi. Disegnavo una faccina sorridente se era stata una giornata buona e una triste se le cose si erano messe male.
La cosa più triste è che ogni volta che c'era una giornata buona, io credevo che sarebbe potuto andare tutto bene, credevo davvero che le cose potessero migliorare e il giorno dopo, quando tornavo a soffrire e a piangere dentro il dolore bruciava ancora di più. Mi arrabbiavo con me stessa perché non volevo arrendermi, perché mi permettevo ancora di sognare.
Non riuscivo più a guardarmi dentro, a sentire le mie emozioni, ciò che volevo. Tutte le mie energie erano concentrate nello sforzo di trovare il modo di compiacerli.
Poi ho conosciuto Sara. Ho iniziato la prima media e avevo tanta paura. Se non piacevo ai miei genitori, perché sarei dovuta piacere ad altri? Non avevo molti amici, direi nessuno, e stavo spesso da sola. Il primo giorno di scuola sono entrata nella nuova classe con il cuore che batteva all'impazzata. Cercavo un volto familiare, o un banco vuoto dove sedermi. Una bambina mi ha sorriso e mi ha indicato il posto libero accanto a sé. Ero imbarazzata, non sapevo cosa fare ma poi è arrivata l'insegnante e io non ho più avuto modo di pensare, mi sono dovuta sedere. Ci siamo presentate, lei sembrava molto simpatica, mi è piaciuta subito. Mi sembrava incredibile che fosse interessata a me! Nei giorni successivi abbiamo trascorso molto tempo assieme e questo mi faceva sentire bene. Un giorno, all'uscita di scuola, sua madre ha chiesto alla mia se il giorno seguente potevo andare a pranzo da loro. Mia madre ha accettato subito e dopo, in auto, ha subito precisato che lo aveva fatto solo per liberarsi per un po' della mia presenza. Mi ha anche detto che non avrei dovuto illudermi: evidentemente Sara aveva notato che ero brava a scuola e voleva diventare mia amica perchè io la aiutassi con i compiti. Non poteva esserci nessun altro motivo! Stranamente le sue parole mi ferirono un po' meno del solito, ne rimasi sorpresa. Il giorno dopo mi svegliai con un gran sorriso e non ricordavo l'ultima volta che mi era successo. Fu una bella giornata: pranzai con Sara e i suoi genitori e poi giocammo insieme nel suo giardino. Ad un certo punto, correndo, inciampai e caddi. Era una piccola ferita ma io scoppiai a piangere per lo spavento. La mamma di Sara corse fuori, mi prese fra le sue braccia e mi strinse forte. Sentivo caldo, il calore del suo abbraccio. Non mi era mai successo prima. Mi disinfettò e ci preparò la merenda, ma io ero ancora dentro alle sue braccia, le sentivo ancora intorno a me. Da quel giorno, le cose piano piano, lentamente e con grande fatica, iniziarono a cambiare. Cominciai a farmi domande nuove, e trovai risposte a cui prima non avevo mai pensato. Il senso di colpa, il dolore, le paure non sono scomparse, oggi che sono ormai adulta, ma ho imparato a comprendere che posso trovare altre persone che possono accettarmi per quella che sono ed amarmi e questo, nel tempo, mi ha insegnato a volere un po' più bene anche a me stessa. Non posso cambiare ciò che mi è stato detto, quello di cui sono stata privata, il tempo trascorso ad aspettare qualcosa che non è mai arrivato. Tutto questo è parte della mia storia. Ma la mia storia non è solo questa, e quelle pagine non le ho scritte io.Chiuse Virgolette

 

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