La storia di Marika e Daniele  

 

Aperte VirgoletteNon vorrei più doverne parlare. Vorrei poter cancellare così ogni attimo, ogni pensiero, ogni respiro da allora ad oggi.
Ma non è possibile, qualunque cosa io faccia. E' parte di me, è la mia storia. A volte sento che non cambierà mai niente, che non smetterò mai di avere paura. Se chiudo gli occhi, sono ancora lì, come se il tempo non si fosse mai fermato. Mi capita di svegliarmi di notte, improvvisamente, sentendo il sapore acre della morte dentro l'anima. Non riesco più a piangere, è come se guardassi la mia vita dall'esterno, una spettatrice incapace di modificare la scena.
Con Daniele è iniziato tutto due anni fa. Lui frequentava la mia palestra. Qualche gioco di sguardi, un sorriso di sfuggita, una scusa per fermarsi a parlare un istante. Una bella storia, senza accelerazioni. Da poco avevo chiuso una storia importante, che mi aveva fatto stare male. Non volevo correre, lui sembrava aver capito.
Abbiamo cominciato ad uscire qualche volta insieme: cinema, pizza, una birra prima di tornare a casa. Era attento, mi ascoltava, mi diceva che ero la sua “principessa”. Ho iniziato a crederci sempre di più e abbiamo deciso di iniziare a viverci come coppia. Abbiamo trascorso molto tempo insieme e io stavo bene. Ogni tanto capitava che alcuni suoi atteggiamenti mi ferissero ma quello che stavo vivendo era troppo bello e prezioso, non mi sembravano cose importanti. A volte capitava che mi prendesse in giro davanti ai suoi amici oppure che mi strattonasse per tenermi vicino a sé quando discutevamo e io provavo ad andarmene. Col tempo, è successo sempre più frequentemente. Qualche volta, durante le litigate più accese, mi stringeva talmente forte da lasciarmi lividi sulle braccia e sul collo. Io mi sentivo sempre peggio: ogni volta che non eravamo d'accordo su qualcosa, anche sulle cose più banali, ero terrorizzata all'idea di ciò che sarebbe potuto succedere. Il cuore batteva forte e io cercavo ogni strada per farlo calmare, per spegnere il fuoco che vedevo nei suoi occhi. Stare con lui era diventato per me sempre più difficile e un giorno ho deciso che avrei dovuto interrompere quella storia che non era più la favola in cui credevo. Non sapevo però come affrontare il discorso. Sapevo che si sarebbe infuriato e non ero certa che avrebbe saputo fermarsi. E se non ci fosse riuscito? Cosa sarebbe potuto succedere? Fino a dove sarebbe potuto arrivare?
Una sera ho provato a iniziare il discorso. Lui mi ha lasciato parlare, senza dire niente. Poi si è fermato e mi ha afferrato con forza il collo, spingendomi verso il muro. Eravamo per strada ma non passava nessuno. Cercavo di muovermi ma non ci riuscivo. L'aria mancava, sempre di più, e lui non diceva niente, non si muoveva, non smetteva. Ho temuto di morire. Poi mi ha lasciato, dicendomi che non avrebbe mai permesso che io lo lasciassi. Io non sono riuscita a dire niente, ho abbassato gli occhi e ho continuato a camminare. Mi tremavano le gambe, il cuore batteva all'impazzata, le mani erano sudate. Ma non potevo replicare, come avrebbe reagito? Ero in gabbia, mi avrebbe fatto male in ogni caso. Dopo un po' gli ho detto che non mi sentivo bene e che avrei preferito tornare a casa. Lui, stranamente, ha acconsentito. Solo quando ci siamo salutati ho finalmente ripreso a respirare. Mio padre era ancora in piedi, si è avvicinato e ha capito subito che qualcosa non andava. Mi ha chiesto se avevo voglia di parlarne. Sentivo che non avrei avuto comunque via d'uscita. E se non mi avesse creduto? E se avesse dato ragione a lui? Poi l'ho guardato, ho letto la preoccupazione nei suoi occhi, ho deciso di rischiare. Ci siamo seduti e abbiamo iniziato a parlare. All'inizio non è stato facile: ho dovuto spiegare ciò che per me era ovvio, descrivere ciò che mi stava succedendo più e più volte, far capire perchè in quella storia continuavo a crederci, perchè non lo avevo lasciato. E' stato difficile rispondere a tutte le domande, rivivere il mio dolore davanti a qualcun altro, ma raccontarmi mi ha permesso di vedere finalmente, con i miei occhi, ciò che stavo subendo, i rischi che avevo corso, il male che Daniele mi aveva fatto e mi stava ancora facendo. Ho abbracciato mio padre e l'ho ringraziato. Ho capito che quella storia doveva finire. Ho ancora paura e non so dove tutto questo mi porterà. Ho bisogno di aiuto e ho il terrore di non essere capita, di essere fraintesa, di dover raccontare di nuovo. Ma ora riesco a capire, ora so dare un nome a ciò che mi è successo: ho subito violenza dal mio partner, e questo non è giusto. Io merito rispetto e amore, come chiunque altro.Chiuse Virgolette

 

Torna indietro