http://www.units.it/etica/2006_1/PRESENTAZIONE.htm
Presentazione
Centro di Ricerca e Studi sui Diritti Umani
Le
due giornate di discussione hanno confermato l’impressione che molti di noi
hanno avuto partecipando agli incontri precedenti: il nostro Paese ha ormai una
comunità di studiosi ampia e sfaccettata, con generazioni che si succedono e dialogano
fra di loro, e con temi e interessi multiformi. Peraltro, si tratta di una
comunità di studiosi che integrano armoniosamente nella loro opera elementi di
differenti tradizioni – il che rende i loro contributi ricchi di sfumature e
valori aggiunti. La tradizione storiografica degli studi filosofici italiani,
ad esempio, viene proficuamente ravvivata dalla riflessione teorica militante
di studiosi inseriti a pieno titolo nel dibattito internazionale – specialmente
quello svolto in lingua inglese e nell’area della filosofia analitica.
Tutto
questo si vede efficacemente già scorrendo i temi proposti dai tre relatori.
Sergio Cremaschi ha dato un primo contributo per colmare delle lacune profonde
nell’attuale ricezione di uno dei filosofi classicamente considerati tra i fondatori
dell’etica analitica: Henry Sidgwick. Paolo Zecchinato, invece, ha discusso con
argomentato rigore uno degli ultimi contributi al dibattito etico di Hilary
Putnam, i saggi che compongono il volume Fatto/valore.
Fine di una dicotomia. (1)
Piergiorgio Donatelli, infine, ha presentato al dibattito dei Dialoghi il contributo
importante di Cora Diamond – la quale propone un approccio alla riflessione
etica che costituisce una versione alternativa rispetto al mainstream analitico rappresentato dalla linea tradizionale
dell’analisi del linguaggio morale.
2. Questi
tre contributi sono stati discussi approfonditamente e le risposte che gli
autori hanno preparato vengono adesso ospitate nelle pagine di Etica e politica. (2) Cremaschi, come si diceva, ha tracciato un ritratto
alternativo di Henry Sidgwick, un pensatore spesso imbalsamato in ritratti
convenzionali ed elogiativi nel pantheon dei
fondatori dell’etica analitica. In particolare, Sidgwick viene spesso
considerato come fondatore del progetto di un’etica scientifica. Cremaschi
fornisce una interessante ricostruzione di due aspetti essenziali del quadro –
e in questo modo ci fa vedere che una comprensione adeguata del ruolo di Sidgwick
nel suo tempo e dopo sia ancora tutta da guadagnare. Dapprima, egli espone la
concezione generale di filosofia, e di filosofia morale, adottata da Sidgwick –
qualificandola come una forma rivista di positivismo, ed avvicinando Sidgwick a
Herbert Spencer. La prima conclusione di Cremaschi è, dunque, che la cosiddetta
etica scientifica sia una concezione gravata dai molti problemi del positivismo
di fine diciannovesimo secolo.
Su
questo quadro Cremaschi innesta una discussione dettagliatissima delle varie
nozioni di moralità di senso comune
presenti nel dibattito cui Sidgwick partecipava. La (seconda) tesi polemica
dello scritto di Cremaschi è che Sidgwick oscilli fra varie nozioni, e che il
suo uso della moralità di senso comune sia inevitabilmente destinato a derive
conservatrici. A questo si aggiunge una ricostruzione delle relazioni fra il
pensiero di William Whewell, uno dei principali autori intuizionisti che
Sidgwick attaccava, e le teorie sidgwickiane. Il saggio di Cremaschi prende in
analisi le critiche sidgwickiane ad alcune tesi di Whewell, difendendo Whewell
da molte delle obiezioni di Sidgwick. Infine, Cremaschi mostra la vicinanza, da
Sidgwick nascosta, fra molte delle tesi dei Metodi
di etica (l’opera del 1874 che rese famoso Sidgwick) e la filosofia di
Whewell. Il vero contributo di Sidgwick al dibattito del ventesimo secolo,
conclude Cremaschi, sta più in certi metodi tipici dell’etica applicata
novecentesca – come l’uso dell’equilibrio riflessivo –, che nell’analisi
linguistica o concettuale generalmente ritenuto al centro della metaetica
analitica della prima metà del secolo ventesimo.
Al
quadro proposto da Cremaschi vengono mosse due obiezioni di fondo: forse,
sostiene Lorenzo Greco, i problemi della filosofia di Sidgwick evidenziati da
Cremaschi vanno ricondotti (come fa Bernard Williams) alla concezione sidgwickiana
dell’etica normativa come etica scientifica capace di fornire una soluzione a
qualsiasi dilemma morale. Secondo Gianfranco Pellegrino, invece, l’etica di
Sidgwick può venire salvata dall’accusa di scetticismo e di conservatorismo –
se la si vede come frutto del tentativo di costruire una forma di utilitarismo
capace di rispondere alle principali critiche mosse all’etica di Bentham.
A
Greco, Cremaschi risponde accettando l’impostazione di Williams, e precisandone
però l’articolazione storica, e anche sminuendone alcune troppo nette contrapposizioni.
Inoltre, Cremaschi individua una linea del pensiero morale moderno (quella
rappresentata da Pufendorf, Butler, Price, Mendelsohn, Kant) che sarebbe esente
dal difetto di ambizione eccessiva denunciato da Williams.
A Pellegrino Cremaschi risponde qualificando lo scetticismo di Sidgwick come relativo solo alle conclusioni dell’etica normativa, e non alla conoscenza morale. Sigdwick ammette che spesso non è possibile determinare un’unica prescrizione che detti quale sia la condotta giusta. Ma, conclude, Cremaschi, questa è comunque un’ammissione esiziale per il progetto complessivo dell’etica utilitarista. Questa difesa, insomma, somiglia a una vera e propria ritirata – conclude Cremaschi.
Zecchinato
critica innanzitutto i presupposti ultimi da cui Putnam prende le mosse. Egli
contesta a Putnam l’identificazione fra razionalità e conoscenza, e fra non cognitivismo
e relativismo o irrazionalismo – che porta quest’ultimo a vedere nella Grande
Divisione la premessa di un approccio irrazionale all’etica. Contro queste
tesi, Zecchinato propone e difende una visione più ampia della razionalità –
non in termini di conoscenza o di verità e falsità, ma in termini di
accettabilità delle tesi che superano la critica razionale (una tesi
esplicitamente presentata come vicina al fallibilismo popperiano). Inoltre,
Zecchinato sostiene che dal non cognitivismo non deve necessariamente derivare
una tesi relativistica – né questo è sempre avvenuto nella storia dell’etica.
Infine, egli mostra che
Nella
seconda parte del suo intervento, Zecchinato contesta le tre premesse della
critica putnamiana alla Grande Divisione: che essa presupponga la distinzione
analitico/sintetico; che si basi su una nozione empiristicamente ristretta di
“fatto” inteso come causa delle impressioni di senso; che presupponga dunque
una semantica “pittorialista”. La tesi di Zecchinato è che, come mostra la
storia dell’etica analitica nella seconda parte del ventesimo secolo,
La
fine del contributo di Zecchinato si concentra sull’idea che i concetti etici
“spessi” possano essere il luogo in cui si colma la separazione fra fatto e
valore. Zecchinato contesta quest’idea, perché essa presupporrebbe che
Discutendo
Zecchinato, Caterina Botti dapprima richiama l’attenzione su un tema
considerato da Putnam e non rilevato da Zecchinato nella sua discussione.
Putnam vuole attenuare la distinzione fatto/valore da entrambi i lati: i valori
sono una specie di fatti, ma i fatti partecipano del valore molto più di quanto
comunemente si creda. Sulla scorta di questa considerazione, Botti si chiede
come faccia Zecchinato a dirsi d’accordo con l’approccio costruttivo di Putnam
(come egli fa alla fine del suo contributo), pur mantenendo ferma la grande divisione
– che comunque si basa su una visione dei fatti come per nulla partecipanti
alla sfera del valore. Putnam propone un approccio all’oggettività etica nei
termini dell’asseribilità garantita. Ma questo criterio, conclude Botti, viene adottato
(da Putnam e Dewey) anche per la scienza. Di conseguenza, la continuità fra
scienza ed etica (e il rifiuto della Grande Divisione) risulta necessaria per
dichararsi d’accordo con una posizione del genere – come fa Zecchinato.
Nella
sua discussione, Roberto Mordacci si sofferma in particolare sulla portata
della separazione fra fatti e valori per la questione dei fondamenti
dell’etica, notando che
Simone
Pollo, infine, prova innanzitutto ad articolare una proposta di connessione
fatti/valori all’insegna di un naturalismo diverso rispetto a quello
neo-aristotelico presupposto da Putnam e John McDowell. Pollo prova ad
allargare la prospettiva della metaetica anche alla considerazione
dell’evoluzione della nostra esperienza morale, e delle sue basi naturali. Egli
offre anche uno schema di come una visione naturalizzata dell’etica potrebbe
spiegare, facendo appello a determinati fatti, la natura intrinseca degli
enunciati etici – ad esempio, seguendo il modello di Hare, ne potrebbe spiegare
la soverchianza, la prescrittività e l’universalizzabilità. È questo,
ovviamente, un percorso di connessione fra fatti e valori differente rispetto a
quello considerato da Putnam, e criticato da Zecchinato.
A
Botti Zecchinato risponde riaffermando la conciliabilità fra una concezione non
positivistica dell’argomentazione in scienza e in etica e
Considerando
le osservazioni di Mordacci, Zecchinato puntualizza i limiti della neutralità
della Grande Divisione: essa è neutrale fra oggettivismo e soggettivismo. Ma
naturalmente, dalla dicotomia fatti/valori discende una impostazione non
cognitivista, che ovviamente esclude come irrealizzabile qualsiasi fondazione
cognitivista dell’etica. In questo senso, chiarisce Zecchinato rispondendo a
Pollo, il divisionismo non esclude certamente il naturalismo inteso come la sussistenza
di relazioni fra asserti o esperienze morali e fatti naturali. È il ruolo
fondativo di tali fatti a venire escluso, e l’idea che riportare la nostra
conoscenza di fatti del genere sia l’obiettivo delle affermazioni morali.
4. Come
già anticipato, il contributo di Piergiorgio Donatelli è una presentazione
acuta e preziosa del pensiero morale di Cora Diamond – talmente articolata che
non si può sintetizzarla in poche righe. Dapprima, Donatelli mette il pensiero
di Diamond in prospettiva, mostrandone l’emergere da una tradizione alternativa
dell’etica di lingua inglese – quella costituita dalla riflessione di autori
come Murdoch, Anscombe, Geach, Foot e Williams, impegnati soprattutto a delineare
un paradigma alternativo alla tradizione mainstream
della metaetica analitica, rappresentata dall’analisi del linguaggio morale
portata avanti da R.M. Hare.
In
secondo luogo, Donatelli – anche sulla scorta della sua esperienza di studioso
dell’opera di Wittgenstein – illustra come Diamond raccolga la lezione del secondo
Wittgenstein – e si impegni nel chiarificare e mettere in luce un’area concettuale
della vita umana, una “vita dei concetti” che occupano la nostra esperienza in
un certo ambito – quello dell’etica.
La
parte finale del contributo di Donatelli – la più rilevante – si concentra
sulle specificità di questa ricostruzione dei concetti dell’etica. Per Diamond
– spiega Donatelli – la natura concettuale della vita etica va di pari passo
con la presenza predominante in essa dei sentimenti e dell’affettività.
Donatelli si concentra con attenzione sulle peculiarità del sentimentalismo di
Diamond – sulla distanza che lo separa dalle versioni tradizionalmente non
cognitiviste di sentimentalismo diffuse nell’etica analitica. Inoltre, egli
illumina la maniera in cui la carica sentimentale dell’esperienza etica si
riallacci alla rilevanza predominante della prospettiva dell’individuo – un
tratto anche questo tradizionalmente assente quando si pensa a strutture
concettuali.
La
prospettiva articolata da Donatelli, ricostruendo il contributo di Cora Diamond,
evidenzia insomma la possibilità che si diano mondi concettuali complessivi –
che articolano esperienze affettive e individuali, nelle quali entrare. Questi
mondi, questi panorami in cui entrare, costituiscono l’esperienza etica – e debbono
essere messi al centro dell’analisi dell’etica filosofica, che non deve quindi
concentrarsi esclusivamente sul linguaggio. Un’analisi concettuale, insomma,
non è un’analisi linguistica – o comunque l’analisi linguistica non si può
limitare solo a tratti formali (comprendere un significato significa
comprendere un’esperienza, una forma di vita): questa è la morale della
tradizione alternativa cui Donatelli ci ha introdotto con il suo intervento. Ed
entrare in un mondo concettuale, padroneggiando i concetti in esso articolati,
è una questione pratica, non esclusivamente conoscitiva – insiste Donatelli,
con Diamond e Wittgenstein.
Sergio
Filippo Magni si concentra sulla nozione di analisi filosofica dei concetti e
dei significati che emerge dal testo di Donatelli, mettendone in luce alcune caratteristiche
significative – come il rifiuto della distinzione fatto/valore e etica
normativa/metaetica, nonché l’impegno verso una forma di naturalismo e
l’avvicinamento della filosofia a forme di espressione letteraria e poetica
dell’interiorità e dell’esperienza personale. Magni contesta l’alternativa
netta fra le due linee, quella di cui
Pierpaolo
Marrone, in un ideale contraltare alle preoccupazioni di Magni, dapprima mette
in luce la distanza fra forme di irrazionalismo anti-teorico e la linea
alternativa patrocinata da Donatelli. Dopo aver assegnato il suo luogo
specifico alla posizione di Donatelli, Marrone tenta di forzarne i limiti –
mostrando che anche gli stessi concetti thick
come “dovere” possono essere articolati differentemente in varie forme di vita,
e che questo ha a che fare primariamente non tanto e non solo con
l’interiorità, ma anche e soprattutto col mondo – con l’ontologia specifica in
cui gli esseri umani hanno sviluppato un certo concetto. Da ultimo, Marrone
mette in evidenza la carica anti-intellettualista della proposta di Donatelli,
al tempo stesso provando a limitarne la portata anti-teorica, e riflettendo
sulla necessità di avere spiegazioni in etica, per quanto incomplete esse
possano essere.
(1) Fazi editore, Roma, 2004.
(2) Tranne che nel caso di Piergiorgio
Donatelli, che risponderà nel prossimo numero.