Etica &
Politica / Ethics & Politics, 2005, 2
http://www.
units. it/etica/2005_2/LECALDANO.htm
Dipartimento
di studi filosofici ed epistemologici
Università
di Roma “La Sapienza”
Abstract The paper
exposes a peculiar sentimentalistic view on moral judgments: an explanation
of moral life following the suggestions of David Hume in his “science of
human nature”. The characteristic point of the humean sentimentalism is the
admission of a differentiation between the original emotions, directly perceived,
and the reflex sentiments expressed in the moral judgments. This differentiation
is not admitted in emotivism and in extreme sentimentalism of some kinds of
naïve expressivism. The essay defends the merit of this epistemological sentimentalism
specially as a way for the justification of the moral choices and evaluations
in opposition with ethical rationalism. Hume’s pages offer many suggestions
on the specific passages of a sentimentalistic check of the acceptability of
a moral judgment. The article is a systematic attempt of reconstruction of
this passages as a contribution to the contemporary discussion on meta-ethics. |
1. Il
problema epistemologico del
sentimentalismo
Come
altre volte mi è capitato di fare proverò ad affrontare un problema teorico che
mi sembra al centro della riflessione filosofica odierna sulla morale
ricorrendo alla risorse che possono essere fornite risalendo alle radici del
paradigma con il quale stiamo lavorando. Personalmente ritengo che le questioni
dell’etica possano più adeguatamente essere affrontate utilizzando quel paradigma
che in modo schematico caratterizzerò come sentimentalistico. (1) Un paradigma che secondo il suggerimento fornito da Giulio
Preti possiamo vedere originarsi nel secolo XVIII e che proprio in quel secolo
si delinea come un’alternativa radicale ad un altro paradigma non meno
influente quello razionalistico di Immanuel Kant.
Ma oggi
non vorrei impegnarmi nel difendere il paradigma sentimentalistico contro
quello razionalistico. Non vorrei nemmeno delineare il modo in cui questo
paradigma rende conto della natura della morale come essenzialmente ruotante
intorno ad una peculiare capacità umana di provare sentimenti del tutto
specifici di approvazione e disapprovazione morale (sentimenti che muovendo
dalle azioni che gli esseri umani compiono risalgono all’apprezzamento o alla
disapprovazione dei loro caratteri considerandoli virtuosi o viziosi), Né
vorrei insistere sulla specifica soluzione che un’etica sentimentalistica offre
alla questione della motivazione propriamente indicandola in un sentimento o
passione morale che sono internamente collegati con la condotta privilegiata
come virtuosa. Mi limito a ribadire che proprio la soluzione alla questione
offerta alla motivazione morale rappresenta uno dei pregi della teoria
sentimentalistica che è in grado così di spiegare la natura pratica dell’etica
con una soluzione che in definitiva lo stesso Kant fu costretto a recuperare
riconoscendo nella sua filosofia morale un ruolo importante al “sentimento di
rispetto alla legge morale”. (2)
Vorrei
piuttosto soffermarmi su quell’ordine di problemi che sembrano di più difficile
soluzione per l’impostazione sentimentalistica. Sembrerebbe infatti del tutto
inadeguata quella teoria etica che non riuscisse a rendere conto che le nostre
prese di posizione morali si presentano non già come un modo immediato e
diretto di reagire alle situazioni in cui ci troviamo, ma come un modo di
reagire alle situazioni che noi ci sentiamo di difendere come valido anche sul
piano riflessivo, con ragioni, giustificazioni e argomentazioni. Questa
componente riflessiva è profondamente radicata nelle pratiche di vita e
discorsive con cui si presenta la nostra moralità tanto che come ad esempio ha
suggerito Peter Railton potremmo considerarla una “infrastruttura” del suo funzionamento.
(3) Del resto se seguiamo l’approccio alla
moralità tra l’altro di Richard Mervyn Hare a Michael Smith considereremo
acquisito che una teoria morale funzionerà solo in quanto riuscirà a catturare
come proprio di ciò che intende spiegare una dimensione di argomentabilità. (4) La concezione sentimentalistica dell’etica
sembra dunque doversi impegnare nell’affrontare una ricerca di procedure
mediante le quali si possano vagliare i sentimenti e giungere a privilegiare i
sentimenti morali validi distinguendoli da quelli che si presentano come mere
reazioni, immediate e non riflessive, alle azioni o caratteri delle persone.
Naturalmente un esame riflessivo può anche portare a confermare i sentimenti
che si sono spontaneamente presentati come reazione immediata alla situazione,
ma questa sottoscrizione deve essere il frutto di un vaglio e di una
elaborazione per potere risultare moralmente giustificata.
A mio
parere è dunque essenziale per riuscire ad elaborare una adeguata teoria
sentimentalistica dell’etica disporre di quella che potremmo chiamare un’
epistemologia, ovvero una spiegazione coerente con le premesse che mostri come
dai sentimenti più immediati si riesce a individuare quei sentimenti morali
validi intorno ai quali si realizza la convergenza laddove si presentano situazioni
di disaccordo o conflitto. Mi sembra quindi strano che invece D’Arms e Jacobson
(5) escludano che il sentimentalismo - per il
quale essi usano la nozione più corrente nelle riflessioni degli ultimi anni di
“espressionismo” - possa avere una sua epistemologia. Procedendo in questo modo
mi sembra non permetta di riconoscere che vi sono diverse concezioni “espressionistiche”
dell’etica e che queste possono essere graduate passando da una forma di
emotivismo radicale che ritiene che non ci sono veri e propri giudizi di
valore, ad una forma di sentimentalismo estremo o diretto -che ritiene che ciò
che si esprime nei giudizi morali è in definitiva solo la sensibilità umana
nella sua immediatezza e originarietà - e infine un sentimentalismo riflessivo
o indiretto che ritiene che l’approvazione morale e i giudizi in cui viene
formulata sono spiegabili riconducendoli a un processo che comporta una
revisione e controllo dei sentimenti di partenza. Rilevo che per rendere conto
di questa dimensione riflessiva in collegamento con il linguaggio dei
sentimenti morali si può ricorrere alla nozione più forte di valori per
riprendere il suggerimento di Peter Railton. In un quadro espressivistico è
dunque più fertile cercare di fare emergere le componenti epistemologiche della
teoria chiamando in causa la nozione di valore piuttosto che - come fa ad
esempio Allan Gibbard (6) - quella di norma. Ma
forse si potrebbe ritenere, riprendendo le distinzioni care ai classici della
filosofia, che il problema epistemologico per il sentimentalismo è quello di
rendere conto non solo dell’approvazione morale, ma più formalmente - di veri e
propri giudizi morali -, ovvero di atti linguistici che possono essere difesi
in forma argomentativa con ragioni e richiamandosi all’esperienza.
Il punto
è dunque se il sentimentalismo sia in grado di rendere conto della pretesa che
i nostri giudizi morali hanno di valere molto di più di una mera preferenza
personale immediata: una pretesa di validità che può spingersi fino ad
impegnare categorie filosoficamente dense quali universalità e oggettività.
Naturalmente queste categorie vanno rivisitate e ridefinite per renderle epistemicamente
congruenti con una spiegazione per così dire soggettivistica della pratica
morale che non può mai utilizzare risorse più forti dei sentimenti provati da
persone reali. Mi incammino dunque - forse per un tragitto troppo breve e
delineato in modo ancora inadeguato - lungo la strada dell’analisi delle linee
epistemologiche che i teorici del sentimentalismo possono ammettere come idonee
a spiegare una riflessione sui sentimenti di partenza, una sorta di filtro
critico che porta poi a corroborare determinati modi di sentire come quelli da
sottoscrivere moralmente e proporre come valori.
2. Ritorno alle radici del sentimentalismo
Ed è in questa
direzione che il ritorno alle origini e in particolare a David Hume - come del
resto suggerito da molti altri tra i quali Annette Baier (7) e Peter Railton, D’Arms e Jacobson - è utile. Ritornare a Hume
e al dibattito sulla morale nel secolo XVIII ci permette di distinguere in
primo luogo diverse forme di sentimentalismo. Questo non solo mostrando la
diversità del sentimentalismo di Hume rispetto alla strada più oggettivistica e
provvidenzialistica di Francis Hutcheson, ma quello che più conta – dall’ottica
del problema epistemologico che vogliamo affrontare in questa sede - rispetto
al sentimentalismo proprio di Jean Jacques Rousseau. Lascerò in questo testo
sullo sfondo anche questo raffronto tra Hume Rousseau (8) limitandomi ad indicare come sia del tutto accettabile il
suggerimento di Dabney Townsend sulla distanza incolmabile tra il sentimentaliamo
estremo di Rousseau e quello più riflessivo e moderato di Hume. (9)
È possibile
rintracciare nella filosofia di Hume un sentimentalismo di tipo epistemologico
nettamente distinto da questo estremo, compassionevole e romantico di Rousseau.
Ma la caratterizzazione che si limita a insistere sull’impegno prevalentemente
epistemologico delle analisi sentimentalistiche di Hume non è sufficiente: essa
deve confrontarsi con la molteplicità di direzioni in cui questo impegno è
stato riconosciuto nel corso del XX secolo. Sosterremo che le riflessioni di
Hume si spingono ben al di là dell’obiettivo di mostrare nel sentimento una
capacità di superare le difficoltà irresolubili a cui va incontro la ragione
nelle sue pretese conoscitive o di mostrare che nel sentimento e non nella ragione
dobbiamo indicare la guida delle nostre azioni e scelte morali. La filosofia di
Hume si presenta come un tentativo di delineare nel modo più compiuto le
procedure con le quali, riconoscendo la priorità e centralità del sentimento,
si possono raggiungere quei risultati intersoggettivamente validi e costruttivi
nel campo della conoscenza, moralità, ed arte che Immanuel Kant riteneva
possibile realizzare solo con l’aiuto della ragione.
Il
ritorno a Hume permette di arricchire l’analisi epistemologica del
sentimentalismo di due differenti elaborazioni teoriche tuttora illuminanti, da
una parte l’impegno nel raffronto tra il contesto in cui operano i sentimenti
morali e i contesti in cui si collocano altri sentimenti ed in primo luogo
quello religioso. Inoltre permette di affrontare la spiegazione dei criteri che
si adottano per vagliare i giudizi morali non perdendo di vista continuità e
discontinuità tra le forme di riflessione in gioco nella morale e quelle in
gioco nell’arte. Sono dunque queste le diverse dimensioni che intrecceremo per
cercare di fare emergere la peculiarità delle procedure epistemologiche con cui
il sentimentalismo spiega il costituirsi dei giudizi morali: non è dunque
quello che faremo un sistematico discorso fondazionale quanto piuttosto una
esplicitazione di diverse potenzialità di giustificazione già radicate nella
nostra forma di vita.
3. I sentimenti morali e gli altri sentimenti
Se
consideriamo la filosofia di Hume come principalmente impegnata a ricostruire
sistematicamente analogie e diversità tra i vari modi in cui il lato
sentimentale della natura umana si articola nelle principali dimensioni della
nostra cultura,dovremo non perdere di vista quanto egli ha da dirci sul ruolo
da lui attribuito ai sentimenti per spiegare la conoscenza intellettuale e la
religione naturale. Anche di queste pratiche umane Hume si impegna ad
analizzare la radice nei sentimenti. Del resto proprio sulla natura costruttiva
delle sue conclusioni sul ruolo del sentimento (feeling) nella credenze era stata costruita la classica
interpretazione di Norman Kemp Smith del pensiero del bon David come una filosofia niente affatto scettica ma
naturalistica. Ma va considerata del tutto inadeguata la caratterizzazione del
sentimentalismo di Hume come una forma di “sentimentalismo naturalistico”:
anche oggigiorno non basta connotare certo come una forma di naturalismo etico
le concezioni sentimentalistiche dell’etica per coglierne la peculiarità.
Limitandosi a considerare il sentimentalismo di Hume o il sentimentalismo
contemporaneo come una forma di sentimentalismo naturalistico si cade nella
stessa inadeguatezza interpretativa che Kemp Smith mostrava nel caso di Hume.
Di cogliere cioè solo una parte del progetto di Hume e dei sentimentalisti,
ovvero l’ impegno a porre a base dell’edificio della cultura umana il
sentimento-o, più propriamente, il feeling
(una parola inglese largamente intraducibile in italiano)- e non già la ragione.
Ma già con Hume e poi successivamente con i sentimentalisti contemporanei ci si
spinge ben al di là di questo percorrendo due diverse linee di ricerca: la
chiara distinzione tra i diversi sentimenti presenti nelle varie direzioni in
cui si è articolata la cultura umana e poi una implicita o esplicita
valutazione critica di questi sentimenti sulla base della loro capacità di fare
raggiungere agli esseri umani esiti più riflessivi e validi sulle questioni
controverse. Va quindi evitato di fare valere nei confronti del sentimentalismo
in generale quell’approccio riduzionistico già presente nel modo in cui Kemp
Smith leggeva il sentimentalismo di Hume. Egli riusciva a liberarlo dalla
accusa di essere uno scettico radicale ma non aveva però successo nel mostrare
- come giustamente ha rilevato Townsend (10) -
la lontananza tra il sentimentalismo di Hume e una concezione irrazionalista. È
questo il punto decisivo per cogliere la portata epistemologica di un approccio
sentimentalistico all’etica.
Una
concezione più complessiva del sentimentalismo di Hume permette già di
evidenziare le diversità con cui i sentimenti umani si esprimono - in modo
immediato, istintivo e non rivedibile - nelle credenze naturali, rispetto al
modo in cui essi si sviluppano nella moralità e nella critica. Non solo. Essa
attribuisce anche il giusto rilievo a tutte quelle analisi con cui Hume si
impegna a distinguere il feeling su
cui poggiano le credenze naturali rispetto ai sentimenti che entrano in gioco
nelle religioni e nella fede nelle divinità. Fermandoci su questo impegno di
una filosofia sentimentalistica erede dell’impostazione di Hume ad approfondire
la distinzione tra il feeling che sorregge le credenze naturali ed il feeling
che si esprime nella fede religiosa, potremo segnare la lontananza di una
filosofia come quella sentimentalistica che sottoscrivo - conciliabile con una
prospettiva che fa proprie le concezioni dell’evoluzionismo di Darwin - da
impostazioni di tipo provvidenzialistico. Nel caso di Hume le credenze naturali
sono feelings radicatisi nella
cultura come esiti della evoluzione della natura umana e svolgono una ben
precisa funzione e ad essi è riconoscibile (come per le diverse virtù) utilità
sociale. Diverso,come subito diremo, il modo in cui si possono spiegare i
sentimenti religiosi.
Una
critica che tende a ridurre tutte le forme di sentimentalismo a forme di
irrazionalismo fideistico o provvidenzialistico è tuttora operante, come se a
rispondere a questa critica non bastasse spiegare con chiarezza la genesi e il
funzionamento dei diversi sentimenti ma si dovesse fondare, ulteriormente, in
modo “razionale” questa diversità o ricondurla, come faceva nel XVIII secolo
Francis Hutcheson, a qualche causa finale. Ad esempio in volumi come quello di
James B. Reichmann S. J. troviamo dato per scontato - e con bizzarre
implicazioni - che solo se si presentano cause finali o fondazioni che distinguono
categorialmente i concetti dalle intuizioni sensibili saremo in grado di
spiegare un qualsiasi fenomeno come ad esempio l’esistenza di una pratica della
moralità propria (e secondo Reichmann esclusiva) degli esseri umani. (11) Non meraviglia quindi di trovare che
coloro che sono impegnati a denunciare il fallimento del progetto di Hume (o di
una compiuta filosofia sentimentalistica) di elaborare un’ alternativa al
creazionismo provvidenzialistico preferiscano continuare a leggere le analisi
intorno ai sentimenti fatte all’interno di questo paradigma come riducibili
alla presa d’atto di una radice di feeling
riconoscibile in tutte le nostre credenze, siano esse naturali, morali,
artistiche, religiose ecc. Questo riduzionismo è solo un primo passo
all’interno di una strategia tesa a mostrare l’inadeguatezza del presunto
naturalismo fideistico a cui sarebbero necessariamente ricondotti Hume e tutti
i sentimentalisti e dunque rivolta a riaffermare la necessità di tornare ad una
filosofia razionalistica aperta al creazionismo. Inaugurata nel 1787 da
Friedrich Heinrich Jacobi con lo scritto David
Hume ùber den Glauben, oder Idealismus und Realismus, (12) questa linea interpretativa è ancora stata riproposta recentemente
in un libro di Juan Andrés Mercado. (13)
Mercado ricostruisce le analisi humeane delle convinzioni fondamentali nella
causalità, nell’esistenza continuata degli oggetti esterni e nell’identità
della propria persona come ‘credenze naturali’ che proprio su basi sentimentali
forniscono all’essere umano la “sicurezza per continuare la sua vita normale”.
(14) Come altri autori che hanno insistito
sulla centralità del feeling nella
filosofia di Hume, Mercado cerca poi di vedere fino a che punto questo feeling è lo stesso che si presenta
nella fede religiosa. La sua conclusione è che in Hume vi sono le premesse per
una derivazione della “credenza in un creatore -ordinatore intelligente del
mondo”, costitutiva della religione naturale, dalla stessa base epistemologica
del feeling che fonda le credenze
naturali. A suo parere qui si colloca “l’enigma di Hume”, che sembra oscillare
tra accettazione sentimentale e rifiuto razionale nei confronti dell’argomento
del disegno. Mercado conclude accettando le posizioni di coloro che ritengono
che Hume colloca la credenza in un Dio ordinatore a mezza strada tra le
credenze da eliminare (ad esempio quella nella immortalità dell’anima o nella
sopravvivenza in un’altra vita e nei miracoli) e quelle naturali,
considerandola come “una ‘credenza naturale debole ’, o ‘una credenza
periferica ’ in contrasto con quelle forti o centrali,però sempre una credenza
anche se particolare”. (15)
Questa
lettura è però del tutto inadeguata. Il punto di forza del sentimentalismo di
derivazione humeana è la sua capacità di spiegare dettagliatamente i diversi
tipi di sentimenti riconoscibili nella natura umana - senza alcuna forma di riduzionismo
- e di individuare tra di essi la presenza di sentimenti morali e di gusto
estetico del tutto peculiari per i contesti riflessivi (come vedremo contesti
in parte diversi tra loro) in cui si collocano. Ad esempio Hume, e ritengo dopo
di lui qualsiasi forma di sentimentalismo epistemologico, indiretto ed
empiristico, si impegna a caratterizzare nelle loro specificità i sentimenti
che costituiscono quella che grossolanamente potremmo caratterizzare come una fede
religiosa proprio per spiegarne la diversità rispetto ai sentimenti morali. In
particolare oltre a prestare attenzione alle diversità genetiche e funzionali
tra sentimenti delle credenze naturali e sentimenti religiosi, Hume - e i
sentimentalisti - insistono, nel rimarcare le diversità, rispetto ai sentimenti
religiosi, per quanto riguarda il ruolo critico e riflessivo che i sentimenti
svolgono nella morale e nell’ estetica. Già Peter Jones nel 1982 rilevava che
l’integrazione delle analisi di Hume sulle credenze naturali e religiose con
quelle sulla moralità e l’arte permette di distinguere tra i diversi sentimenti
coinvolti, osservando: “Tradizionalmente, gli appelli ai sentimenti religiosi
erano appelli alla fede. Come passaggio, perciò, alla nostra discussione dei
ruoli dei sentimenti nella critica, sarà utile riassumere le principali basi su
cui Hume, solitamente per implicazione piuttosto che per asserzione diretta,
rifiuta l’appropriatezza dell’appello alla fede [. . . ]. Per Hume anche se un
criterio per identificare i genuini casi di fede potesse essere trovato, resta
il problema del significato per lo stesso individuo dei suoi sentimenti interni
[. . . ]. Hume ritiene che i nostri sentimenti dipendano sia dalle cause
esterne, come dalla nostra conformazione fisiologica e psicologica. Ma come
esseri sociali noi cerchiamo l’assicurazione che le nostre esperienze non
differiscano radicalmente da quelle dei nostri simili e per trovarla dobbiamo
prestare attenzione e rispondere a fenomeni pubblicamente identificabili.” (16)
Un
analogo impegno a mostrare quanto la filosofia di Hume sottolinei la profonda
diversità tra i sentimenti in gioco nella moralità e nell’arte rispetto a
quelli in gioco nella religione troviamo nelle pagine di Jennifer Herdt, o
ancora, recentemente, in quelle di Isabel Rivers. (17) Herdt mostra come nelle pagine di Hume venga insistentemente
sottolineata la diversità tra il feeling
presente nelle credenze naturali e quello presente nelle credenze religiose. La
credenza religiosa, anche se coerente e non propriamente falsa, si presenta
come “debole e oscillante”, non incide nell’azione e spesso si accompagna con
l’ipocrisia e porta a eccessi di zelo che è impossibile comprendere con la
simpatia; (18) inoltre i sentimenti religiosi sono in
contrasto con il senso comune e non è raro ravvisare in essi forme di patologie
interne. All’influenza delle credenze religiose si devono, nella spiegazione
che Herdt fornisce delle pagine di Hume, quelle vite artificiali di santi ed
asceti che talvolta vengono presentate anche come dei veri modelli di virtù
morale. Come è noto Hume è molto critico relativamente ai sentimenti che
vengono richiamati per attribuire una superiorità morale alle vite artificiali
di santi e asceti. In questo caso la riflessione morale su questi sentimenti
secondo Hume mostra che: “Quando gli uomini si allontanano dalle massime della
ragione comune e si danno a queste vite artificiali […] nessuno potrà
rispondere di quel che piacerà o dispiacerà loro. Essi vivono in un elemento
diverso da quello di tutto il resto dell’umanità, e i principi naturali della
loro mente non agiscono con la regolarità che avrebbero se lasciati a se
stessi, liberi dalle illusioni sia della superstizione religiosa sia del
fanatismo filosofico.” (19)
Alla luce
del sentimentalismo humeano la credenza religiosa viene spiegata facendo
riferimento ad un contesto più ampio che non permette di correggere i
sentimenti immediati con cui essa si presenta. Questa impermeabilità dei sentimenti
religiosi a qualsiasi correzione e riflessione li porta spesso a esiti
patologici come quelli presenti nelle emozioni del fanatismo, della
superstizione e dell’entusiasmo. (20)
4. Dalla meta-etica sentimentalistica alla
ricerca epistemologica su arte e morale
Ma come
si è detto la peculiarità del contributo alla riflessione morale che può essere
dato dalla linea sentimentalistica che si ispira a Hume sta nelle indicazioni
che fornisce a proposito delle componenti di riflessioni e revisioni presenti
nei giudizi morali ed estetici. Possiamo cogliere la peculiare prospettiva del
sentimentalismo humeano se teniamo conto congiuntamente delle sue analisi sulla
morale e sull’arte, considerandole sullo sfondo della sua scienza della natura
umana. Oggi sembra difficile elaborare un’adeguata prospettiva espressionistica
o sentimentalistica sull’etica limitandosi come facevano ad esempio A. J. Ayer
e C. L. Stevenson ad analizzare il linguaggio e il discorso, non potremo quindi
che seguire la lezione di J. L. Mackie (21) e
inserire la nostra spiegazione in un quadro evoluzionistico e antropologico
come del resto viene fatto da S. Blackburn e A. Gibbard oltre che ovviamente da
A. Baier.
Possiamo tornare a prendere le distanze da
quelle letture del sentimentalismo che ne riducono la portata facendone solo
una concezione meta-etica o meta-morale senza alcuna ricaduta epistemologica.
In definitiva è una lettura riduttiva che troviamo ancora alle radici della
nostra storia ad esempio nella lettura che Adam Smith dava della teoria etica
di Hume considerandola mancante di indicazioni per ricostruire le procedure
mediante le quali individuare i sentimenti appropriati e meritevoli per distinguerli
dagli altri. Nel caso di Smith la critica è spiegabile:in parte con la sua
esigenza di provare a fare emergere con nettezza la peculiarità della teoria
sentimentalistica che egli, ritenendola più compiuta proprio sul piano
epistemologico, presentava nella Teoria
dei sentimenti morali, (22);
e in parte con gli elementi provvidenzialistici e razionalistici che egli
intende recuperare nel costruire la sua concezione più conciliante di quella
del pagano Hume nei confronti della tradizione morale cristiana. La stessa
lettura di Smith del sentimentalismo humeano come carente di una parte
epistemologica è stata ampiamente sviluppata tra gli anni Settanta e i primi
anni Novanta: in un periodo del resto in cui erano correnti le critiche all’
incapacità dell’espressionismo “emotivistico” di catturare le componenti
riflessive del giudizio morale (si pensi a T. Nagel (23) e a R. M. Hare (24))
Esemplificativa di questo approccio al sentimentalismo di Hume si può considerare
la trattazione fattane da Daniel J. Shaw. (25)
Le questioni che si ritenevano centrali per una identificazione del “sentimentalismo
morale” di Hume erano così principalmente quelle meta-etiche. Shaw ad esempio
discute dettagliatamente un’ampia letteratura, e in particolare J. Mackie, D.
F. Norton, B. Stroud, impegnata a ricostruire il modo in cui Hume rende conto
della moralità facendola derivare dal sentimento piuttosto che dalla ragione.
Le questioni che si affrontavano erano in realtà molto limitate e si trattava
quasi esclusivamente di argomentare a favore o contro una lettura di volta in
volta emotivistica, soggettivistica o proiezionistica della ricostruzione della
moralità presente nel III libro del Trattato
e nella seconda Ricerca.
Che il
sentimentalismo di Hume non possa essere ridotto ad una concezione meta-etica
priva di implicazioni epistemologiche risulterà chiaro se,seguendo il
suggerimento all’inizio del Trattato,
cercheremo nei suoi scritti quelle parti in cui egli affronta non solo la
moralità,ma anche la critica (ovvero quella che oggi chiameremmo estetica) che
rappresenta l’altra “scienza” che chiama in causa “i nostri gusti e
sentimenti”. (26) Una considerazione approfondita del modo
in cui Hume accostava e distingueva i sentimenti e gusti in gioco nella morale
e quelli in gioco nell’arte non può non passare attraverso una utilizzazione di
Of the Standard of Taste (1757). (27) Ricostruire quali sono le procedure di
revisione dei sentimenti che Hume delinea, nel tentativo di spiegare come si
generano i giudizi estetici e morali, ci permetterà di comprendere più in
generale quali sono le tesi dello Scozzese sulla portata e la forza dei sentimenti,in
quanto fondamento epistemologico della validità di pretese che si spingono
dall’ambito conoscitivo, estetico e morale fino a quelle avanzate nella
religione. In questa linea analitica si potrà poi procedere nel delineare in modo
più esplicito le procedure argomentative che un sentimentalista può indicare
come adottabili nel dare giustificazione alla sottoscrizione di determinati
valori, regole o principi che si ritengono da privilegiare nella discussione su
questioni morali ed etiche.
Il
problema che viene affrontato esplicitamente nella Regola del gusto è proprio quello di cercare un criterio per risolvere
le dispute nei giudizi sulla bellezza nell’arte, mostrando che è erronea quella
posizione dei critici del sentimentalismo che costringono i fautori di questa
teoria ad una mera presa d’atto dei sentimenti immediati nella loro diversità e
relatività. (28) Nel fare questo Hume finisce con il
presentare un criterio di revisione delle emozioni di partenza immediate analogo
a quello fatto valere per la morale. Nella filosofia del pensatore scozzese
questo criterio ritorna più volte per vagliare tutti i tipi di sentimenti che
strutturano le diverse dimensioni della cultura, che nel corso dello sviluppo
della natura umana si sono andate istituzionalizzando. Hume delinea una
procedura per costruire una prospettiva indiretta e riflessa sulle emozioni di
partenza, permettendo ad uno spettatore più esperto di fornire quel giudizio
più mediato che rappresenterà la soluzione dei disaccordi.
Prima di
discutere il processo di revisione dei sentimenti di partenza, presentato nella
Regola del gusto va richiamata
un’altra significativa questione interpretativa sollevata nei recenti
contributi rivolti a caratterizzare il peculiare sentimentalismo di Hume. Al di
là delle questione interpretativa si presenta la ben più sostanziosa questione
di quali sono le risorse epistemologiche del sentimentalismo e se esso debba
incamminarsi necessariamente, in modo alternativo:o lungo una strada per così
dire contestualista ed esterna che inserisce i sentimenti di partenza in un
processo che in definitiva non li modifica ma che si limita a vagliarli da un
punto di vista più pubblico esterno di revisione; o lungo una strada più
propriamente, soggettivista, con una continuità interna ed evoluzionista che
ammette la possibilità che i sentimenti di partenza siano corretti e
trasformati con un processo di crescita e modificazione che può anche generare
modi originali e non tradizionali di sentire e di valutare le cose e i
caratteri delle persone. In Hume dunque sono state rintracciate tutte e due le
linee epistemologiche percorribili dal sentimentalismo e vi è stato chi,come ad
esempio Herdt,ha richiamato l’importanza della Regola del gusto non solo per la profondità con cui vi si
analizzano le procedure che portano ai giudizi morali ed estetici, ma anche per
le “importanti correzioni” che in esso vengono introdotte rispetto al modo in
cui nel Trattato si superano le
distorsioni della simpatia per giungere ad assumere un più generale punto di
vista. Infatti, secondo Herdt, “nel Trattato
Hume sosteneva che un solido e generale punto di vista emerge naturalmente ed
automaticamente come un punto di equilibrio delle esperienze delle contraddizioni
tra le nostre vedute e quelle degli altri, così come tra le nostre concezioni
in un certo momento e quelle in un altro [. . . ]. Nella Regola del gusto invece Hume tratta il giudizio critico come
un’attività che richiede uno sforzo per raggiungere un appropriato punto di
vista e che può essere sviluppato e raffinato con la pratica e l’attenzione.” (29) Per quello che mi riguarda ritengo che vi
siano rilevanti elementi testuali che portano a rifiutare la tesi di una
discontinuità nel tipo di sentimentalismo epistemologico elaborato da Hume. :
un primo tipo che indica le regole e il criterio nel raggiungimento del punto
di vista generale esterno; ed il secondo che invece insiste sul perfezionamento
dall’interno delle proprie capacità di percezione e dunque del proprio gusto
morale. Ma ritengo anzi che la sua proposta stia nel suggerire un intreccio dei
due processi come la via più adeguata per sottoporre a filtro i nostri
sentimenti originari e diretti. E proprio in questo suo modo di ricostruire
l’epistemologia disponibile per un sentimentalista sta la sua attualità e fertilità.
La
procedura di formazione dei giudizi dai sentimenti immediati delineata da Hume
nella Regola del gusto, secondo
alcuni lettori, come ad esempio Giancarlo Carabelli, (30) varrebbe in modo identico sia nel caso dell’arte come nel
caso della morale. Anche questa conclusione deve essere rivista, se si vuole
cogliere la natura peculiare del sentimentalismo di Hume. Di certo in questo saggio
Hume sembra esplicitamente impegnarsi nel fissare una conclusione che vale sia
per la moralità come per l’arte: ovvero che anche una teoria come la sua che
procede riconoscendo una centralità dei sentimenti per rendere conto del
giudizio estetico e morale può pienamente differenziare il piano dei sentimenti
più immediati e diretti da quello più riflesso e mediato che ispirerà i
giudizio più affidabili su cui sarà possibile convergere per superare eventuali
disaccordi. Naturalmente, ciò che conta per salvaguardare la caratterizzazione
sentimentalista della teoria è che i sentimenti non sono solo all’inizio del
processo, ma si ripresentano come decisivi anche alla fine, dando un contenuto
ai giudizi morali e artistici. I giudizi, secondo Hume non devono in alcun modo
essere concepiti come una mera operazione intellettuale, ma come un evento del
lato passionale della natura umana. Secondo la ricostruzione da lui offerta nel
suo saggio, il gusto che ispirerà i giudizi sia del critico estetico come dell’
osservatore morale virtuoso aiuterà a individuare le soluzioni alle questioni
dell’etica e dell’estetica fornite di una qualche stabilità e validità intersoggettiva.
Il gusto - inteso implicitamente come una qualità che è propria di una persona
di buon gusto, in quanto contrapposta ad una persona priva di gusto - si
presenta anche come una capacità di discriminare normativamente sentimenti
accettabili suscitati da ciò che è bello o virtuoso, da quelli che vanno invece
rifiutati. Quindi il gusto si presenta come un tratto del carattere costruito e
elaborato in modo attivo dalla persona che ne è fornita. Si tratta di una
qualità del carattere che questa persona mette continuamente alla prova
ripetendo quell’insieme di attività mentali che darà origine a quei giudizi che
saranno fatti valere nel confronto intersoggettivo come quelli giustificati dai
sentimenti più riflessivi.
Vediamo
come può essere sintetizzato il contributo offerto dalla Regola del gusto (31)
alla individuazione di un criterio per la formulazione dei giudizi sul bello e
sulla virtù. Townsend giustamente spiega: “Hume non pensa mai che la fiducia
nel sentimento sia una fiducia in un mero sentimento - un impulso momentaneo.
Alcuni sentimenti sono migliori di altri. Le ragioni di Hume per cui le ragioni
di un uomo sono migliori di quelle di un altro trovano un certo numero di paralleli
nei criteri di un buon critico. Essi includono la delicatezza (poteri più ampi
di osservazione), il costituirsi di massime generali, la libertà dal
pregiudizio e una maggiore esperienza. Ciò che si aggiunge a questa lista nel
caso dei giudizi morali sono le capacità a formare e a sostenere delle
argomentazioni. Le capacità del critico dipendono solo dal gusto. Il giudizio
morale dipende dal sentimento ma in esso si riconosce una portata anche per il
ragionamento in quanto sono da valutare anche le conseguenze e le utilità. Un
criterio del gusto è un criterio per critici.” (32)
Herdt riprendendo il discorso in modo più schematico identifica almeno cinque
distinte capacità mentali (33)
che sono in gioco nei giudizi morali ed estetici: una sottigliezza
nell’immaginazione che consenta di separare le diverse componenti della
situazione da giudicare; la capacità di giudicare in “una perfetta serenità di
mente”; la capacità di istituire un confronto tra differenti opere o situazioni
e differenti tipi di opere o situazioni; la capacità di lasciare da parte i
pregiudizi; e infine il lasciarsi guidare dal buon senso ovvero la capacità di
percepire tutte le parti di un ‘opera e di comprendere le loro relazioni l’una
con l’altra. La sfida implicita nella strategia coerentemente percorsa da Hume
è che si tratta di riuscire a tracciare le differenze tra giudizi validi e no,
non già in base a ragioni normative, ma in base a un processo che porta a fare
emergere sentimenti più affidabili ed adeguati di quelli che si presentavano
nell’esperienza più immediata. (34)
Ma la rilevanza delle analisi di Hume sul
gusto nell’estetica e nella morale per la caratterizzazione della natura del
suo sentimentalismo in generale risulta solo se non si tralasciano due
ulteriori linee di ricerca. In primo luogo si deve rendere esplicito anche il
modo in cui Hume differenzia i sentimenti in gioco nella moralità e nell’arte.
In secondo luogo dobbiamo chiederci se effettivamente, come sostenuto da Herdt,
nel passaggio dal Trattato alla Regola del gusto Hume cambia il modo di
trattare il disaccordo su questioni di valore e dunque se riprendendo il
paradigma di Hume quando ci incamminiamo lungo la strada dell’epistemologia
disponibile per una concezione sentimentalista dobbiamo scegliere fra le due
prospettive che sopra abbiamo individuato.
Per quanto
riguarda la diversità tra sentimento del bello e sentimento di approvazione
morale va rilevato che secondo Hume, come ha giustamente sottolineato Peter
Kivy, la diversità non è data dal fatto che si tratta di classi separate di
percezioni ma piuttosto dal contesto in cui esse si generano. (35) Per capire la natura del sentimentalismo di Hume non si deve
perdere di vista come egli sia sempre molto attento a mettere in luce non solo
le analogie tra i sentimenti, ma anche le diversità tra i modi in cui essi
vengono influenzati dal contesto in cui naturalmente si collocano. La scienza
della natura umana, più che fondare vari tipi di giudizio, spiega come essi si
generano all’interno di distinti contesti in cui si intrecciano impressioni di
sensazione, di riflessione e immaginazione. È dunque importante che Hume
fornisca chiare indicazioni sulle diversità nelle procedure che accompagnano la
formulazione dei giudizi artistici rispetto a quelle che accompagnano il
giudizio morale. Il ricorso ad una maggiore esperienza, la liberazione dai
pregiudizi, l’uso del buon senso, la ricerca di una prospettiva più serena sono
presenti, secondo Hume, in un contesto comune che accompagna il formarsi di
validi giudizi tanto morali che estetici. Una prima differenza richiamata da
Hume è che mentre la considerazione dell’utilità è immediatamente presente nel
senso della bellezza degli oggetti, invece tale considerazione entra a fare
parte dell’approvazione morale di un carattere solo in quanto è il giudice
esperto che la rende esplicita. Un’altra forte diversità nel contesto che
introduce i due tipi di giudizio è data dal fatto che i sentimenti morali
chiamano in causa direttamente le qualità del carattere della persona che fa
nascere il sentimento,mentre la connessione tra sentimenti legati con la
bellezza ed il carattere è più indiretta. Infatti solo in modo secondario la
capacità di provare determinati sentimenti estetici può divenire un tratto che
ci porta ad approvare o disapprovare la persona che è in grado di provarli o di
non provarli. Un ‘altra significativa differenza è data dal fatto che i
sentimenti morali hanno a che fare in modo più diretto ed interno con l’azione
e dunque presentano impressioni più forti, mentre quelli estetici muovono all’azione
solo indirettamente,ovvero quando si connettono con qualche carattere reale.
Infine, laddove il prerequisito di una maggiore serenità di prospettiva che accompagna
il giudizio nel caso della valutazione sul bello richiede solo che si raggiunga
una prospettiva più distante e sofisticata, nel caso del giudizio morale si
esige piuttosto che ci si elevi al punto di vista generale connotato in termini
di disinteresse ed imparzialità: e tale esigenza di generalità e superamento
dell’interesse personale eccessivo non sembra pertinente quando si valuta il
bello artistico. Meraviglia che Peter Railton nella sua analisi pure molto
illuminante delle riflessioni di Hume (particolarmente fertile da un punto di
vista teorico e meritevole di approfondimento è il suo accostamento tra i buoni
giudici di Hume e l’appello di John Stuart Mill in Utilitarismo ai
giudici esperti) (36) sul valore morale ed
estetico non colga fino in fondo queste diversità tra l’epistemologia
dell’estetica e l’epistemologia della morale. Probabilmente ciò dipende dal
fatto che Railton occupandosi in primo luogo del valore tende a privilegiare
nella sua prospettiva le nozioni di bello e buono viste principalmente secondo
l’ottica di un giudice -spettatore, ma in realtà l’analisi di Hume è molto più
ricca e le sue osservazioni tendono a integrare la spiegazione della moralità e
dell’arte date dal punto di vista dello spettatore con quelle utili per chi
deve collocarsi dal punto di vista di chi deve agire o giudicare quali azioni
fare. Una prospettiva integrata che è fatta valere in Hume assumendo il punto
di vista del soggetto umano, un punto di vista talvolta così profondo (nascosto
e lasciato sullo sfondo) nella sua filosofia (e comunque ricostruito in termini
passionali)che ha avuto fortuna per molto tempo l’erronea idea che la sua
concezione distrugga la stessa possibilità dell’identità personale.
Questo
collegamento tra la moralità e il punto di vista disinteressato e generale è
presente nelle riflessioni di Hume dal Trattato
ai Saggi, e dunque limitandoci a
sottolineare solo questa continuità possiamo contestare una lettura discontinuista
del suo sentimentalismo. Non si tratta dunque di distinguere,come propone
Herdt, tra due diverse fasi del sentimentalismo di Hume quanto piuttosto tra
due diversi momenti di approfondimento della stessa impostazione. Hume presenta
due differenti contesti di spiegazione dello sviluppo di una natura umana
caratterizzata da un insieme di sentimenti distinti. In un primo momento, per quanto
riguarda la dimensione sociale dello sviluppo umano, è particolarmente
interessato a ricostruire le lente procedure di superamento delle parzialità
degli interessi individuali in vista dell’insorgenza di quelle regole generali
che - come è il caso della giustizia e dei governi - rendono possibile una convivenza
stabile di popolazioni numerose. Solo successivamente passa a presentare nel
dettaglio una spiegazione del modo in cui gli esseri umani, muovendo dai loro
sentimenti immediati, giungono a dare giudizi di bellezza e virtù. E le
spiegazioni più approfondite e dettagliate ulteriori non sono rivolte a
contestare ma semplicemente ad integrare gli accenni già presenti nel Trattato. Non bisogna dunque cadere
nell’equivoco di ritenere che in Hume esistano due distinte strategie,
inconciliabili e contrapposte, di spiegazione del modo in cui si formano i
giudizi morali o estetici: da una parte quella dell’elaborazione di un punto di
vista generale o comune, dall’altra quella della formazione del gusto di un
acuto percettore ed esperto giudice. (37)
Si può piuttosto sostenere che Hume illustra nei suoi scritti due procedure che
avanzano congiuntamente, in quanto entrambe sentimentalistiche. Nel ricostruire
le serie genealogiche che portano rispettivamente a giudizi morali ed estetici
Hume non solo delinea sovrapposizioni e differenziazioni, ma sembra anche
suggerire una priorità ed un prevalere del contesto che genera sentimenti
morali, nel senso che proprio ai sentimenti morali riconosce una forza
egemonica. Va detto che oggigiorno troviamo difficile comprendere questa tesi humeana
di una forza egemonica dei sentimenti morali su quelli estetici se -come credo
si debba fare - teniamo conto delle integrazioni che al paradigma sentimentalistico
sono state offerte ad esempio da Bernard Williams. (38)
Hume
rimarca anche un’altra differenza tra sentimenti morali ed estetici,
sottolineando la maggiore stabilità che accompagna le regole generali della
morale e dunque la maggiore difficoltà di una loro trasformazione rispetto a
quella dei criteri di giudizio accettati nel campo dell’arte. (39) Proprio su questa base i più stabili giudizi del gusto morale
non potrebbero non influenzare i giudizi del gusto artistico. In particolare il
critico morale, proprio per la natura della serenità che si richiede come
prerequisito del suo giudizio, non può tollerare quella mancanza di libertà nel
giudizio che deriva dal cedere al fanatismo o alla superstizione. Scrive Hume:
“Quando accade questo [scil. : il prevalere di fanatismo e
superstizione], essi confondono i sentimenti della morale,e mutano i confini
naturali del vizio e della virtù. Perciò, secondo il principio sopra
menzionato, questi sono dei difetti eterni, e i pregiudizi e le false opinioni
dell’epoca non sono sufficienti per giustificarli [. . . ]. I principi
religiosi costituiscono quindi un difetto in qualsiasi composizione letteraria,
quando si esagerano fino alla superstizione e compenetreranno di sé tutti i
sentimenti per quanto lontani da ogni connessione con la religione”. (40) Un’osservazione questa che indica, ancora
una volta, un esplicito impegno a caratterizzare nella loro peculiarità i sentimenti
religiosi.
Un altro
tema da non perdere di vista nell’elaborare oggi un sentimentalismo
epistemologico è che per Hume rendere conto della peculiarità del contesto che
accompagna i sentimenti morali rispetto a quello proprio dei sentimenti estetici
vuole dire impegnarsi a spiegare come nei giudizi morali risulti rilevante una
considerazione per la sorte e la fortuna che governa le vite dei soggetti
morali che sembrerebbe fuori luogo nel caso dei giudizi sulla bellezza. Un tema
non solo aristotelico e che è stato riproposto ancora una volta da Bernard
Williams conciliandolo con una prospettiva sentimentalistica delle virtù. Nel
rendere conto da un punto di vista sentimentalistico del giudizio morale Hume e
dopo di lui i sentimentalisti contemporanei dovranno anche trovare uno spazio
nelle loro spiegazioni per i giudizi di responsabilità,anche questa una
dimensione che sembra assente nel caso dei giudizi estetici. Sulla
ricostruzione sentimentalistica della responsabilità realizzata dalle analisi
di Hume si è soffermato in modo illuminante Paul Russell (41) aiutando anche a capire come la spiegazione sentimentalistica
della responsabilità niente ha che fare con quella condizione di controllo
sulle proprie azioni che sembra essere un prerequisito delle spiegazioni forti
della moralità fornite da Kant e dagli altri razionalisti. Fa parte del resto
delle capacità esplicative delle concezioni sentimentaliste dell’etica non solo
connettere la responsabilità delle azioni umane ai caratteri delle persone che
ne sono causa ma anche percorrere una strada in cui la centralità
dell’autonomia delle persone viene corretta dalla consapevolezza della
fragilità umana. Chi vede l’etica come centrata sull’esperienza emozionale
delle persone sarà particolarmente sensibile a quelle situazioni nelle quali
non sono disponibili vie d’uscita da disaccordi e conflitti o a quelle
situazioni in cui data la nostra insuperabile limitatezza qualsiasi soluzione
sarà accompagnata da rincrescimento e senso di inadeguatezza.
(1) Non ritorno in questa sede su quanto ho
già cercato di elaborare in:L’oggettività
dell’etica:una versione sentimentalistica, “Rivista di Filosofia”, LXXXIX,
1998, pp. 353-384; Le emozioni morali e l’argomentazione
in etica in Filosofia ed emozioni
a cura di T. Magri, Feltrinelli, Milano, 1999, pp. 145-163; La rilevanza morale degli animali e della
natura:un confronto tra paradigmi teorici in etica, in “Paradigmi. Rivista
di critica filosofica”, XX, settembre -dicembre 2002, pp. 443-467; The passions, Character and the Self in Hume,
“Hume Studies”, XXVIII, 2002, pp. 175-193; Fertilità
teorica e attualità dell’etica di Giulio Preti, in Giulio Preti Filosofo Europeeo,a cura di Alberto Peruzzi, Leo Olschki,
Firenze, 2004, pp. 31-51; Soggetto morale
e identità personale nella prospettiva del sentimentalismo humeano, in Dimensioni della soggettività, a cura di
M. Barale, ETS, Pisa, in corso di stampa.
(2) I. Kant, Critica della ragion pratica, con testo a fronte, a cura di S.
Landucci, Laterza, Roma -Bari, 1997, p. 165 e sgg. (127 159); Allen Wood, Kant’s Ethical Thought, Cambridge University
Press,Cambridge,1999,specialmente pp. 46-48.
(3) Peter
Railton, Aesthetic Value, Moral Value and
the Ambitions of Naturalism, in Facts,
Values and Norms. Essay toward a Morality of Consequence,
(4) R. M.
Hare, Sorting Out Ethics, Clarendon
Press,
(5) Justin
D’Arms e Daniel Jacobson, Sentiment and
Value, “Ethics”, CX, 1999-2000, pp. 722-748.
(6) Anche nel suo ultimo libro Allan Gibbard, Thinking How to Live, Harvard University
Press,Cambridge (Mass. ), 2003 dedica molte delle sue analisi a rendere conto
da una prospettiva espressionista dei concetti normativi, pp. 137-197.
(7) A.
Baier, Moral Sentiments and the
Difference they Make, “The Aristotelian Society. Supplementary”,
LXIX, 1995, p. 153.
(8) Me ne sono occupato in Hume e Rousseau:biografia e filosofia
nel volume Instruction and Amusement. Le ragioni dell’Illuminismo Britannico,
a cura di E. Mazza e E. Ronchetti, Il Poligrafo, Padova, 2005, pp. 89-111.
(9) D.
Townsend, Hume’s Aesthetic Theory,
Routledge,
(10) D.
Townsend, Hume’s Asthetic Theory,
cit, pp. 121-22; vedi supra p. 1.
(11) James
B. Reichmann, S. J. , Evolution, Animal
Rights and the Environment, The Catholic
(12) F. H. Jacobi, David Hume über den Glauben, oder Idealismus
und Realismus, Breslau, Lòwe, 1787 trad. it. di N. Bobbio con il titolo David Hume e la fede o idealismo e realismo,
in Idealismo e realismo, De Silva,
Torino, 1948.
(13) J. A.
Mercado, El sentimiento como
racionalidad: la filosofia de la creencia en David Hume, Eunsa, Pamplona
2002.
(14) J. A.
Mercado, El sentimiento como
racionalidad, cit. , p. ,274, ma si vedano anche pp. 273 -75.
(15) J. A.
Mercado. El sentimiento come
racionalidad, cit, p. 310.
(16) P. Jones, Hume’s Sentiments. Their
Ciceronian and French Context,
(17)
(18) J.
Herdt, Religion and Faction in Hume’s
Moral Philosophy,Cambridge University Press,
(19) D. Hume, A Dialogue in An Enquiry
concerning the Principles of Morals, a cura di T. L. Beauchamp, Oxford
University Press, Oxford, 1998, p. 199; traduzione italiana di M. Dal Pra con
il titolo Un dialogo, in Ricerca sui principi della morale,
Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 279.
(20) Come mostra Isabel Rivers, Reason, Grace and Sentiment, cit. p.
309, proprio su questo modo di Hume di rendere indipendenti i sentimenti morali
da quelli religiosi si appuntavano le critiche di Lord Kames, Thomas Reid e James
Beattie,, pp. 238-329.
(21)
Particolarmente significativo mi sembra J. L. Mackie, The law of jungle: moral alternatives and principles of evolution
(1978) in Person and Value, Clarendon
Press,
(22) A. Smith, Teoria dei sentimenti morali, Rizzoli, Milano 1995. Nel capitolo
III della sezione III della parte VII della sua Teoria Smith classifica in modo tuttora utile le diverse concezioni
sentimentalistiche dell’etica distinguendo, da una parte, chi come Francis
Hutcheson risale a “un sentimento di natura peculiare” ovvero “un particolare
potere di percezione esercitato dalla mente alla vista di certe azioni o
affezioni”; dall’altra coloro, che privilegiano la prospettiva che riconduce i
sentimenti morali a sentimenti sentiti simpateticamente con uno spettatore
ideale e imparziale.
(23) T. Nagel, La possibilità dell’altruismo, (1978) Il Mulino, Bologna,1994.
(24) R. M.
Hare, Objective Prescriptions and Other
Essays, Clarendon Press,
(25) Si veda
in particolare D. Shaw, Hume’s Moral Sentimentalism,
“Hume Studies”, XIX, 1993, pp. 31-54; D. Shaw, Reason and Feeling in Hume’s Action Theory and Moral Philosophy. Hume’s
Reasonable Passion,, The Edwin Mellen Press, Lampeter, 1998, specialmente,
pp. 109-38.
(26) D. Hume, A Treatise of Human Nature, a cura di D. e M. Norton, Oxford University
Press, Oxford, 2000, p. 4, trad. it. , Trattato sulla natura umana,
Laterza, Roma-Bari, 1987, con modifiche, p. 7.
(27) D.
Hume, Of The Standard of Taste in Essays Moral, Political and Literary,
ed. a cura di T. H. Green e T. H. Grose in David Hume, The Philosophical Works, volume 3, London 1882 (ristampa
anastatica, Aaalen, Scientia Verlag, 1964) pp. 266-84; trad. it. di Giulio
Preti con il titolo La regola del gusto
in Saggi morali, politici e letterari,
in Opere filosofiche, vol. III, Laterza, Bari-Roma, 1987, pp. 238- 260.
(28) D.
Hume, Of The Standard of Taste, ed.
cit. pp. 268-69, trad. it. cit. pp. 241-42.
(29) J. A.
Herdt, Religion and Faction in Hume’s
Moral Philosophy, cit. p. 123.
(30) G. Carabelli, Intorno a Hume, Milano, Il Saggiatore, 1992, specialmente pp.
10-12.
(31) D. Hume, Of the Standard of Taste, ed. cit. il passo più rilevante si trova
alle pp. 278-79;trad. it. p. 253-54.
(32)
Townsend, Hume’s Aesthetic Theory,
cit. p. 193
(33) J. A.
Herdt, Religion and Faction, cit. pp.
125 -133.
(34) Tuttora nell’etica teorica contemporanea
si presenta la difficoltà a cogliere la lontananza e inconciliabilità tra una
ricostruzione dei giudizi che ricorre alla risorsa delle ragioni normative ed
una che tale risorsa non vuole e non può utilizzare in quanto deve rendere
conto delle distinzioni assiologiche (siano esse nelle dimensioni del bene, del
giusto o del bello. del vero ecc. ) in termini di sentimenti. Tale incomprensione
risulta ad esempio evidente nella ricostruzione critica della posizione di Hume
fornita da John Rawls in Lectures on the
History of Moral Philosophy, Harvard University Press, Cambridge (Mass. ),
2000, pp. 21 -104; trad. it. Lezioni di storia della filosofia morale,
Feltrinelli, Milano, 2004, pp. 25-114. Lo sforzo di Rawls di ricondurre le
analisi di Hume nel quadro di una ricerca delle ragioni normative rappresenta
una buona esemplificazione dell’operare di quel pregiudizio razionalistico -
molto diffuso tra i filosofi - che non permette di comprendere l’originalità e
diversità della prospettiva sentimentalistica di Hume sulle questioni di
valore.
(35) P.
Kivy, Hume’s Neighbor’s Wife: An Essay on
the Evolution of Hume’s Aesthetics, “British Journal of Aesthetics”, XXIII,
1983, pp. 195-208.
(36) P. Railton, cit, p. 118.
(37) Una querelle tra i sostenitori
dell’esclusività dell’una o dell’altra via come tipicamente humeana si è andata
sviluppando in particolare negli anni Novanta con interpreti che di volta in
volta o, come Townsend,hanno insistito sul criterio dell’acuto percettore
o,come Annette Baier, sull’elaborazione di un punto di vista generale. Una ricostruzione
che tende a radicalizzare questa contrapposizione è sviluppata in modo forse un
po’ artificioso da R. Hursthouse, Virtue
Ethics and Human Nature, “Hume Studies” XXV, 1999, pp. 67-82 che rinvia a
Geoffrey Sayre-Mc Cord e a Rachel Cohon oltre che a A. Baier come sostenitori
dell’interpretazione che identifica il criterio proposto da Hume con quello di
una ricerca di un punto di vista generale o comune, privilegiando poi per
quanto la riguarda l’altra prospettiva trovandola più conciliabile con
l’eredità di Aristotele.
(38) I due
ultimi libri di B. Williams, Shame and
Necessity,
(39) D.
Hume, Of The Standard of Taste,
ed. cit. specialmente, pp. 283-84, trad. it. pp. 258-59.
(40) D.
Hume, Of The Standard of Taste,
cit. , p. 284, trad. it, p. 260.
(41) Paul
Russell, Freedom and Moral Sentiment.
Hume’s Way of Naturalizing Responsability, Oxford University Press, New
York, 1995 specialmente pp. 132-133 e note p. 136 dalla n. 28 alla n. 32.