Etica & Politica / Ethics & Politics, 2005, 2

http://www.units.it/etica/2005_2/DE_MORI.htm

 

 

Presentazione

 

Barbara de Mori

 

Dipartimento di Filosofia e Comunicazione

Università di Cassino

 

 

Dialoghi di Etica, ereditando la tradizione inaugurata negli ultimi anni dalle Giornate di Filosofia pratica svoltesi a Vercelli, presso l’Università del Piemonte Orientale, prende corpo ed ispirazione dall’idea di favorire la discussione sugli svariati temi che compongono la riflessione etica, in un’occasione di confronto e di meditazione che ogni anno permetta alle diverse persone interessate di trovare un momento di incontro e di sintesi. A tale scopo, le tematiche via via affrontate, anziché rispondere all’esigenza di discutere attorno ad un tema prescelto, rispondono all’esigenza di diffondere e sottoporre a discussione i risultati delle ricerche di coloro che, di volta in volta, presentano una propria relazione.

L’intento di sottoporre a discussione tali risultati viene realizzato poi attraverso l’intervento, accanto a quello dei relatori, di diversi discussants che si impegnano a commentare le relazioni presentate. In un clima di autentica discussione filosofica, Dialoghi di Etica, nella sua aspirazione di proseguire nei prossimi anni come appuntamento annuale, tenta di realizzare per il settore della filosofia morale quel che già avviene per altri settori della riflessione filosofica. La pubblicazione degli Atti che seguono a tali incontri rappresenta un’occasione ulteriore di riflessione e di confronto sia per coloro che partecipano sia per i lettori interessati.

Qui di seguito vengono raccolti gli Atti dell’incontro che si è svolto nell’ottobre del 2004, presso l’Università di Cassino, e che ha visto messe a tema questioni di rilievo sia per l’etica normativa sia per la metaetica, questioni riguardanti, da una parte, l’attualità della filosofia pratica aristotelica, dall’altra, in seno al recente rifiorire d’interesse per l’intuizionismo,  una critica alla concezione della normatività che in esso viene difesa e, infine, una articolata difesa dell’epistemologia sentimentalistica.

La relazione di Enrico Berti, ritornando sul tema della cosiddetta ‘rinascita della filosofia pratica’, difende, con estrema attualità, una corretta interpretazione dell’aristotelica filosofia pratica. Con lucidità e chiarezza distingue tra la phronesis, che è una virtù, e la filosofia pratica, che è una scienza, anche se volta all’agire. Giovanni Catapano, nella sua discussione alla relazione di Berti, dopo aver distinto tre piani nell’argomentare del relatore attorno alla filosofia pratica aristotelica, quello eremeneutico, quello apologetico e, infine, quello polemico, e dopo aver riconosciuto l’indiscusso valore ‘filosofico’ di tutti e tre i piani, si pone due quesiti, uno in merito alla tenuta della nozione di verità etica o verità pratica, che sembra investire soprattutto i momenti apologetico e polemico delle argomentazioni di Berti, e uno, per così dire, di ‘sfondo’, se cioè la filosofia pratica aristotelica, ‘sciolta da qualsiasi preoccupazione normativa’, risulti alla fine interessante per l’etica.

Sergio Cremaschi si sofferma sull’importanza di riflettere sulla nozione kantiana di Klugheit e di ridimensionare la distanza che si è soliti tracciare tra Aristotele e Kant, insistendo sulla vicinanza tra riabilitazione della filosofia pratica aristotelica e svoltà normativa degli anni ’70, con al centro una rivalutazione di diversi aspetti dell’etica kantiana.

È lo stesso Berti che, rispondendo ai suoi commentatori, coglie l’occasione per ribadire l’importanza di una corretta interpretazione della filosofia pratica aristotelica. Alle domande di Catapano risponde rilevando, da una parte, che ‘il concetto aristotelico di felicità, e quindi di “bene umano praticabile”, teorizzato dalla filosofia pratica, possiede anche un valore normativo, del tipo dell’imperativo ipotetico’ e in questo senso rimarrebbe sicuramente ‘interessante’ per l’etica, dall’altra che la verità di cui si parla in etica è la verità ‘degli endoxa, che sono veri non sempre, ma “per lo più”, ma che hanno il pregio grandissimo di essere condivisi da tutti o dalla maggioranza’. Sia a Catapano che a Cremaschi, poi, a proposito di Kant, Berti risponde affermando di accettare le precisazioni sui concetti kantiani di prudenza e felicità, che però, come notato dai suoi medesimi commentatori, non coincidono con i rispettivi concetti aristotelici

Roberto Mordacci, nella sua ricca e articolata relazione sulla normatività delle azioni morali nell’intuizionismo, argomentando che l’intuizionismo, in particolare nella versione presentata da Ross, mostra di avere una concezione della normatività morale fortemente problematica - sulla base delle difficoltà insiste nella capacità che l’intuizionismo avrebbe di dar conto dei distinti orizzonti della giustificazione e della spiegazione delle azioni morali - mette in luce la necessità di una visione alternativa della normatività dei giudizi morali, in cui il loro valore pratico e la loro forza motivazionale siano adeguatamente spiegati.

Gianfranco Pellegrino, dopo aver rilevato che le obiezioni di Mordacci alla normatività come la intende Ross, attraverso la nozione di doveri prima facie, potrebbero essere articolate in due punti, l’uno vertente sulla necessità, nel quadro di Ross, di ammettere l’esistenza di proprietà esistenti sui generis, l’altro centrato sull’inconsistenza del passaggio da un qualcosa di descrittivo – i doveri prima facie – ad un qualcosa di normativo – il dovere vero e proprio, avverte che il quadro così offerto del pensiero di Ross sembrerebbe dipendere da una sua riduzione al platonismo intuizionista di Moore. Pellegrino propone così un’interpretazione più ‘minimalista’ di Ross, rilevando che, a suo parere, la specificità dell’approccio di Ross risiederebbe più nella sua deontologia pluralista che nella sua epistemologia morale cognitivista.

Alle osservazioni critiche di Pellegrino, Mordacci replica che, per quanto riguarda il primo punto, la critica allo statuto ontologico delle proprietà morali forse può essere superata, ma non va al cuore del problema e, in questo senso, non inficerebbe la tenuta della sua critica alla normatività intuizionista. Mentre, per quanto riguarda il secondo punto, Mordacci osserva che i rilievi critici di Pellegrino sembrano eludere il punto centrale delle sue obiezioni all’intuizionismo, e cioè il fatto che l’intuizionismo pare trascurare la priorità del volere sul conoscere nella determinazione ad agire, rischiando così di apparire intellettualistico.

La relazione di Eugenio Lecaldano chiude la rassegna di approfondimenti critici offerti negli Atti qui raccolti. Nella sua relazione l’autore, offrendo una ricostruzione dei passaggi della ‘scienza della natura umana’ in cui David Hume si sofferma sulla distinzione tra emozioni originarie, direttamente percepite, e sentimenti riflessi, espressi nei giudizi morali, propone una versione in chiave epistemologica del sentimentalismo humeano di profonda attualità per la metaetica contemporanea. Il confronto diretto è, naturalmente, con le prospettive razionalistiche, che sarebbero incapaci di rendere conto di aspetti importanti della motivazione per l’azione, mentre il sentimentalismo epistemologico a la Hume avrebbe come suo punto di forza proprio la capacità di giustificare le scelte e le valutazioni morali.

Paolo Zecchinato, nelle sue osservazioni critiche, lamenta soprattutto il fatto di essersi trovato di fronte, diversamente da quanto si attendeva, ad una difesa storico-critica della posizione humeana, anziché ad un’argomentazione di taglio teorico sulla tenuta dell’epistemologia sentimentalista. Avrebbe inoltre auspicato un maggior sviluppo delle tesi avanzate nelle ultime pagine della relazione, quelle in cui, a suo avviso, risiede effettivamente il nodo della questione, ossia le procedure che validano il giudizio morale.

Pierpaolo Marrone insiste sulla necessità di interpretare correttamente la difesa che Lecaldano propone del modello humeano alla luce del nesso istituibile tra sentimento e contenuto cognitivo. Alla luce di tale nesso un’epistemologia sentimentalistica pare rivelare a pieno le proprie potenzialità e sul piano motivazionale e sul piano dell’elaborazione dei contenuti delle scelte e delle decisioni. È in questo senso che Marrone dichiara di essere sostanzialmente in accordo con le argomentazioni di Lecaldano e di voler proporre, più che altro, una serie di ‘glosse’ a margine, arricchendo in tal modo il quadro offerto da una difesa dell’epistemologia sentimentalista.

Massimo Reichlin, infine, si sofferma invece sul conflitto tra prospettiva sentimentalista e prospettive razionalistiche, rilevando che se, effettivamente le prospettive razionalistiche incontrano la difficoltà di dare conto delle motivazioni ad agire, la concentrazione sull’elemento sentimentale dell’etica rischia di incorrere in una difficoltà altrettanto notevole, e forse più rilevante, quella derivante dalla necessità di rendere conto della pretesa di oggettività che naturalmente si associa alla formulazione dei giudizi morali.

Lecaldano risponde ai propri commentatori affrontando nel dettaglio le varie osservazioni critiche. A proposito dei rilievi di Zecchinato, si impegna a chiarire ulteriormente la scelta metodologica di intrecciare fortemente discorso teorico con ricostruzione storica, sottolineando l’idea che riflettere filosoficamente sulle questioni morali oggigiorno voglia dire prima di tutto confrontarsi con i paradigmi più fertili ed elaborati che ci sono stati trasmessi da coloro che ci hanno preceduti. Le osservazioni di Marrone, invece, offrono a Lecaldano l’occasione per ribadire la non conciliabilità di sentimentalismo e razionalismo, sottolineando l’intento, nella sua difesa dell’epistemologia sentimentalistica, di voler procedere non tanto includendo nel processo di correzione e revisione delle emozioni di partenza l’intervento della ragione, quanto piuttosto una revisione, correzione e ampliamento delle emozioni di partenza. A Reichlin, infine, Lecaldano risponde facendo valere precisamente la bontà del progetto di mantenere distinte la via sentimentalistica e la via razionalistica in etica, ricordando che, a suo parere, nelle pagine di Hume troviamo messa a punto un’analisi più precisa, rispetto a quelle di provenienza razionalistica, della complicata nozione di ragione.

Il quadro sommario offerto del contenuto degli Atti che vengono qui raccolti, oltre a dare un’idea dell’ampiezza delle tematiche affrontate, permette di ribadire il motivo ispiratore degli incontri di Dialoghi di Etica e di cogliere lo spirito con cui è stato concepito il lavoro filosofico sui temi discussi, quello del confronto, della replica e dell’approfondimento, in un’occasione di riflessione che sempre ci si augura possa essere feconda e foriera di ulteriori sviluppi.