La storia di Emanuele e Stefano  

 

Aperte VirgoletteChe fatica raccontare tutto quello che è successo, rimettere insieme i pezzi. Da allora mi sembra che sia passata un'eternità, eppure era solo l'anno scorso. E' successo tutto così rapidamente che neppure riesco a trovare la linea di partenza. Quando tutto è finito, quante volte ho cercato di fare proprio così, tirare una linea, azzerare tutto e fingere che non fosse mai successo niente. Ho creduto di poterlo fare davvero, ci ho creduto più e più volte, ma poi bastava una frase, i versi di una canzone, una barzelletta, una panchina. Di nuovo un fiume in piena, inarrestabile. Proprio come allora.
Lui lo avevo conosciuto a basket. Condividevamo questa grande passione. Ci siamo piaciuti subito e non ci sono stati dubbi su cosa volevamo: stare insieme, il più a lungo possibile. Mi sentivo bene. Non so esattamente cosa sia la felicità, ma credo di averla assaporata, almeno per qualche istante. Con Stefano non dovevo mai chiedere o dare spiegazioni, lui mi capiva al volo. Passavamo tanto tempo insieme, andando al cinema, leggendo libri, andando a camminare in montagna, giocando uno contro uno e sfidandoci a chi riusciva a centrare più tiri liberi. Del mondo, intorno, non ci interessava. Noi ci amavamo, davvero. L'unico vero problema, fra noi, era il sesso. Lui ha solo un anno più di me, ma a 17 anni aveva già avuto più esperienze di me. Io non ero mai stato con nessuno, almeno non fino in fondo. E non mi sentivo pronto. Desideravo stare con lui, ma avevo troppa paura. Ne abbiamo parlato, a lungo, quasi subito, e lui sembrava aver capito. Mi ha detto che avrebbe rispettato i miei tempi, che non sarebbe stato un problema. Ma man mano che il tempo passava, le sue richieste sono diventate sempre di più e più insistenti. Diventava ogni giorno sempre più aggressivo nei miei confronti e ormai non riuscivamo più a parlare d'altro. Ho cominciato ad evitare i momenti da soli, in modo da non dover essere costretto a fare cose che non volevo. Ormai qualsiasi cosa era diventata per me un problema. Bastava che mi abbracciasse perchè io mi sentissi gelare il sangue dal terrore per quello che sarebbe potuto succedere.
Improvvisamente, quello che mi sembrava un rapporto perfetto si era trasformato in un incubo quotidiano. Malgrado questo, però, io continuavo a volergli bene ed ero sicuro che prima o poi tutto questo sarebbe finito, io mi sarei abituato o forse lui sarebbe cambiato. Non potevo credere che la nostra storia sarebbe finita e così tenevo duro. Spesso mi dicevo che in fondo la colpa era solo mia: aveva ragione lui, ero solo un bambino sciocco e immaturo, che non si decideva a diventare grande. In fondo stavamo insieme da un tempo sufficiente, perchè volevo ancora aspettare? Me lo sono ripetuto talmente tante volte che, alla fine, mi sono convinto. Un pomeriggio l'ho chiamato e gli ho chiesto se voleva uscire la sera stessa. Gli ho dato appuntamento nel posto in cui c'eravamo dati il primo bacio. Volevo che fosse tutto perfetto, come lo era per me la nostra storia. Era una sera d'estate, era caldo. Avevo portato con me una coperta da mettere a terra e una per coprirci. Ero emozionato ma felice di aver preso questa decisione. Anche Stefano sembrava tranquillo. Abbiamo riso e scherzato in auto lungo il tragitto, ascoltando la nostra musica. Quando siamo arrivati, ce ne siamo stati un po' a guardare le stelle, abbracciati. Lui aveva capito, ormai, perchè lo avevo portato proprio lì e sembrava molto rilassato. Abbiamo iniziato a stare più vicini e sembrava che tutto andasse bene, finchè ad un certo punto ho cominciato a sentirmi a disagio e quindi l'ho allontanato da me. Lui ha insistito ma io gli ho detto che non volevo. Gli ho chiesto scusa, gli ho detto che ci avevo provato e che credevo di poterlo fare, ma non era così. Lui si è infuriato, mi ha gridato che non potevo trattarlo in quel modo e che non voleva più stare con me. Io, allora, mi sono sentito morire. Non volevo perderlo. Così mi sono avvicinato di nuovo e ho lasciato che facesse ciò che voleva. Sono stati gli istanti più lunghi della mia vita. Dopo, sono rimasto lì, incapace di dire niente. Mi sembrava come se dentro di me gli ingranaggi si fossero inceppati e non sapevo come farli ripartire. Lui parlava, mi faceva domande, ma io non riuscivo a dire niente. Gli ho chiesto di tornare a casa, ho detto che non stavo bene. Ho trascorso tutta la notte come se fossi sospeso nel vuoto, come se di colpo il tempo intorno a me si fosse fermato. Mi sentivo in colpa, sbagliato. Continuavo a chiedermi perchè non riuscissi ad essere felice, cosa c'era dentro di me che non andava. Sono sceso in cucina. Non riuscivo più a stare neppure sdraiato. Mia sorella mi ha sentito e mi ha raggiunto. Quando è entrata nella stanza, io me ne stavo seduto al buio, per terra, in un angolo. Non riuscivo neppure a piangere. Non mi ha detto niente, si è solo seduta accanto a me e ha aspettato. Siamo stati così, in silenzio per un tempo che mi è sembrato infinito. Non faceva niente, non parlava, ma io sentivo che era lì, sveglia, in attesa. Non ricordo come, ma ad un certo punto ho cominciato a parlarle e le ho raccontato tutto. Lei mi ha lasciato continuare senza interrompermi, tenendomi per mano. Poi mi ha detto che il grande dolore, il senso di vuoto che provavo era dovuto al fatto che avevo subito una violenza, e per di più da una persona che amavo. Io le ho detto che non aveva capito niente, che lui non mi aveva costretto a fare niente, non aveva usato la forza, ero io che l'avevo lasciato fare. Lei allora mi ha detto una cosa che non dimenticherò mai: “Hai detto no. E no significa no, e nessuno ha il diritto di farti fare qualcosa che tu non ti senti pronto o non vuoi fare. Se lo fa, commette una violenza”. Da allora, dopo quella notte, queste parole risuonano dentro di me e mi danno la forza di andare avanti quando sento crescere il vuoto. Ho impiegato del tempo prima di riuscire a chiudere quella storia e prima di capire che non dovevo perdonare niente a me stesso. La responsabilità di ciò che era accaduto era chiara e non era mia. Chiuse Virgolette

 

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