Etica&Politica / Ethics&Politics, 2005,1

http://www.units.it/etica/2005_1/BALISTRERI.htm

 

 

Tra etica ed estetica: una riflessione metaetica

 

Maurizio Balistreri

 

Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici

Università di Roma “La Sapienza”

 

 

 

Abstract

The thesis defended is that aesthetic experience plays an important role in moral life and that it can contribute to the perfecting of the moral character. For this reason I argue that an appropriate moral theory should offer an account of the characteristics of aesthetic experience and of the relation between ethics and aesthetics. At the end I defend the thesis that a sentimentalistic perspective is in a better position to give an account of this relation.

 

 

La tesi che si intende sostenere è che l’esperienza estetica gioca un ruolo assai importante per la vita morale. L’idea, cioè, è che l’esperienza estetica non solo sia una componente fondamentale della vita buona, ma che essa possa anche contribuire al perfezionamento del carattere morale del soggetto. Che una vita senza spazio per l’esperienza estetica sia una vita manchevole è stato affermato da diversi autori. Meno sostenuta, invece, è stata l’idea che l’esperienza estetica possa giocare un ruolo molto importante, se non addirittura fondamentale, per il perfezionamento del carattere morale del soggetto. Nelle pagine seguenti si intende esaminare e approfondire proprio questo secondo aspetto, meno considerato, della riflessione sulla relazione che unisce l’esperienza estetica con quella morale. La tesi che si sosterrà è che un’appropriata concezione morale deve essere in grado di rendere conto dei tratti fondamentali dell’esperienza estetica ed, in particolare, dello stretto legame tra etica ed estetica. Il risultato cui perverremo sarà che una concezione sentimentalista si trova in una posizione migliore di altre concezioni per rendere conto di questo legame.

 

 

1. L’esperienza estetica secondo la prospettiva che identifica il punto di vista della morale con quello della ragione

 

Qual è lo spazio che le diverse prospettive morali riconoscono all’esperienza estetica ed, in particolare, qual è l’importanza che esse attribuiscono all’esperienza estetica per lo sviluppo del carattere? La prima prospettiva che intendiamo considerare ed analizzare è quella che identifica il punto di vista della morale con il punto di vista della ragione e, quindi, con il punto di vista dell’imparzialità. La prospettiva che identifica il punto di vista della morale con quello della ragione e dell’imparzialità è comune sia alle posizioni che estendono l’orizzonte della moralità agli esseri animali sia a quelle che estendono la rilevanza morale non solo agli animali ma anche agli esseri vegetali. Sono in particolare le posizioni che estendono la rilevanza morale anche agli esseri vegetali che incontrano maggiori problemi a riconoscere uno spazio all’esperienza estetica e del bello.(1) Posizioni come l’olismo e il biocentrismo, ad esempio, leggono il rapporto con la natura come un rapporto prima di tutto morale e così facendo negano di fatto ogni importanza ai valori estetici. Questo perché in un mondo in cui ogni fenomeno della natura ha piena rilevanza morale (o perché parte dell’ecosistema o semplicemente perché espressione di una forza di vita che pulsa nel cosmo) lo spazio per il valore estetico o scompare del tutto (se la natura ha valore, il suo valore è morale) o deve essere considerato un valore secondario rispetto al valore primario che è quello morale. È vero che quanti sostengono le posizioni dell’ecologia profonda (ovvero di quel movimento che include la prospettiva olistica e quella biocentrica) non sembrano negare né l’esistenza dei valori estetici né, in particolare, il valore estetico della natura e delle sue diverse manifestazioni. Dalla loro prospettiva, infatti, non solo la natura è bella nel suo complesso, ma sono belli anche aspetti particolari della natura come i paesaggi, il deserto, la tundra, le zone artiche e il mare. Se, tuttavia, le diverse manifestazione della natura hanno prima di tutto un valore morale, lo spazio per il riconoscimento del loro valore estetico si riduce sensibilmente, in quanto attribuire alle diverse manifestazioni della natura un valore estetico può comportare la negazione del loro valore morale. Il punto diventa chiaro se consideriamo l’atteggiamento che si può avere di fronte al mare in tempesta. La possibilità che il mare in tempesta susciti nello spettatore sentimenti estetici particolari, misti ad esempio a spavento e terrore, è stata sottolineata da diverse concezioni estetiche. Nello specifico, si è parlato della presenza dello spettatore di un sentimento del sublime, cioè, di quella particolare categoria del bello che può rappresentare o evocare l’unità di finito e infinito. Il fatto però che si abbiano questi sentimenti nei confronti della natura può essere interpretato dai sostenitori dell’olismo e del biocentrismo come un chiaro segno di insensibilità morale dello spettatore che non riesce a cogliere la sofferenza che patiscono i diversi soggetti morali coinvolti (ad es., le piante sradicate dalla forza del vento o i pesci scaraventati contro le rocce). Per altro, c’è da chiedersi se un sostenitore dell’ecologia profonda possa veramente approvare i sentimenti estetici che nascono da una passeggiata nel bosco o da un’escursione in montagna. In questione non è tanto l’adeguatezza di un sentimento che porta lo spettatore a perdersi nella bellezza della natura selvaggia e nel paesaggio circostante, in quanto i sostenitori dell’ecologia profonda riconoscono la positività di un atteggiamento che dissolve i confini stabili tra il soggetto e l’ambiente. Il problema casomai è che per entrare in questo rapporto con la bellezza della natura si devono compiere azioni che dal punto di vista dell’ecologia profonda non sono eticamente approvabili. Anche un biocentrista, ad esempio, può essere d’accordo che passeggiare nella foresta permette di provare sentimenti estetici che avvicinano nella natura (perché si può cogliere la sua bellezza), ma dal suo punto di vista quest’esperienza è comunque poco approvabile a livello morale, in quanto può comportare l’uccisione di tutti quegli esseri viventi (ad esempio, bruchi, formiche, ma anche piante e funghi) che incontriamo sulla la nostra strada e il cui benessere dovremmo rispettare.

Anche quanti pensano che la natura sia un grande organismo vivente meritevole di considerazione morale, però, pur riconoscendo nella natura un luogo di bellezza, non potranno non guardare con preoccupazione a quei comportamenti che, interferendo con essa, rischiano di mettere in pericolo il suo equilibrio. Quanto, poi, la concezione etica dei sostenitori dell’ecologia profonda impoverisca l’esperienza estetica emerge anche dalla loro difficoltà di rendere conto della distinzione tra bello e brutto. Tra i sostenitori dell’ecologia profonda, ad esempio, non è mancato chi ha affermato che non sarebbe giusto nei confronti della natura sostenere che alcune manifestazioni (o fenomeni) di essa non sono belli, in quanto ogni manifestazione della natura è particolare ed unica e, quindi, non può non essere bella. Per questi autori, comunque, sarebbe ugualmente ingiusto pensare che alcune parti della natura sono più belle di altre, in quanto tutte hanno la stessa dignità e meritano la stessa rilevanza etica. Posizione questa anch’essa problematica non solo perché noi in genere distinguiamo tra cose più belle e cose meno belle (si pensi alle opere d’arte) o tra fenomeni più belli e meno belli, ma anche perché toglie ragioni per attribuire alla natura selvaggia un valore diverso da quella artefatta.

I problemi dell’olismo e del biocentrismo non sono, quindi, legati solo alla difficoltà di attribuire a ogni manifestazione della natura valore intrinseco e, almeno a livello teorico, un valore pari a quello delle persone. Senza dubbio, i loro principi saranno sempre sentiti come comandi esterni da ogni  agente con gravi conseguenze per l’integrità personale delle persone che, pur pensando razionalmente che quei principi siano giusti, non riusciranno comunque ad avere una condotta conforme. La critica che, però, in questo contesto si intende fare è un’altra, ovvero quanto possa essere scarso il valore di una vita che votata quasi esclusivamente al riconoscimento della piena rilevanza morale di ogni manifestazione della natura non lascia più spazio al sentimento del bello. L’annullamento, cioè, della dimensione estetica a favore di un rigorismo morale rende la vita più povera. Una vita che non lascia spazio alla bellezza è, per altro, una vita povera anche sul piano del linguaggio. Il possesso di un certo linguaggio non è accessorio, ma è un fondamentale modo di essere della persona, in quanto anche lo stile linguistico (con la sua ricchezza o povertà) costituisce l’identità.

 

 

2. Il perfezionamento del carattere secondo la prospettiva che identifica la morale con il punto di vista della ragione

 

La difficoltà a riconoscere uno spazio all’esperienza estetica ed, in particolare, a riconoscere la sua importanza per la formazione e lo sviluppo del carattere morale è, comunque, comune a tutte le posizioni che partono da una prospettiva che identifica il punto di vista della morale con quello della ragione. Innanzi tutto per queste posizioni il contributo dell’esperienza estetica può essere importante solo perché permette al soggetto morale di applicare con maggior precisione ed in maniera quindi più corretta il punto di vista della ragione (che è, come abbiamo ricordato, il punto di vista dell’imparzialità), ma non perché permette al soggetto di perfezionare il suo carattere morale. Dalla loro prospettiva, infatti, l’esperienza estetica può solo aiutare a considerare in maniera corretta gli interessi di tutti gli individui coinvolti, ma non può aggiungere nulla al perfezionamento del carattere, in quanto la perfezione morale è stata raggiunta assumendo il punto di vista della morale come ragione (e, quindi, assumendo questo punto di vista, abbracciando il punto di vista dell’imparzialità). Questo significa che per le posizioni che identificano il punto di vista della morale con quello della ragione e, quindi, dell’imparzialità è vero che il contributo dell’esperienza estetica può essere importante per applicare meglio il punto di vista morale, ma esso non rende migliori (o, comunque, non stimola lo sviluppo e il perfezionamento di particolari tratti del carattere). Dice, ad esempio, Noël Carroll, in merito alla relazione tra estetica e morale: «non è la funzione delle opere narrative quella di provvedere all’educazione morale. (…) io ho puntato l’attenzione su una relazione molto importante tra moralità e opere narrative, nello specifico sul modo in cui le opere narrative inevitabilmente impegnano, esercitano, e qualche modo chiarificano e approfondiscono la comprensione morale e le emozioni morali. Infatti, è mia convinzione che questa è relazione più comprensiva e generale che noi possiamo trovare tra arte, o almeno l’arte narrativa, e la moralità».(2) Ma che, partendo dal punto di vista della morale come punto di vista della ragione, compito dell’esperienza estetica diventi quello di permettere una migliore applicazione del principio dell’imparzialità ai casi concreti che di volta in volta incontriamo insiste anche Martha Nussbaum: «Ancora una volta, esistono molti lettori diversi con diverse storie personali, e i lettori imparziali hanno la possibilità di utilizzare, rispetto a ciò che sta avvenendo, informazioni che derivano dalle loro storie. (Questo è il motivo per cui, in teoria, il processo della lettura va completato con la conversazione tra i lettori.) Ma queste informazioni, essendo applicate a vite che non sono le nostre, saranno prive del pregiudizio personale dell’attore interessato».(3) «(…) per essere pienamente razionali, i giudici devono essere anche capaci di fantasia e simpatia. Devono migliorare non solo le loro capacità tecniche, ma anche la loro capacità di esseri umani. Se manca questa capacità, la loro imparzialità sarà ottusa e la loro giustizia cieca. Se manca questa capacità, le voci “a lungo silenti” che cercano di farsi sentire per mezzo della loro giustizia rimarranno silenti, e l’“alba” del giudizio democratico rimarrà velata. Se manca questa capacità, l’“interminabile generazione di prigionieri e di schiavi” continuerà a soffrire intorno a noi e avrà minori speranze di libertà».(4) In questo modo, però, si trascurano importanti elementi dell’esperienza morale e di quella estetica. L’esperienza, infatti, che possiamo fare attraverso la lettura di un romanzo o facendo una passeggiata nel bosco non solo può spingerci a considerare in maniera diversa la vita delle persone e degli individui coinvolti dalle nostre azioni (cosa questa riconosciuta da quanti identificano il punto di vista della morale con il punto di vista della ragione), ma può portarci anche a diventare delle persone diverse.

Sarebbe riduttivo, del resto, pensare che le esperienze che ci permettono di considerare con più attenzione la vita delle persone non abbiano alcuna influenza sul nostro carattere. Altrimenti si dovrebbe pensare che la differenza tra la vita di un razzista e quella di una persona che rifiuta ogni discriminazione basata sulla razza possa essere solo una differenza a livello di applicazione di una medesima prospettiva morale (e di uno stesso punto di vista) a casi particolari. Invece, la differenza tra il razzista e una  persona che rifiuta ogni discriminazione basata sulla razza è una differenza più profonda, una differenza che si radica e che nasce a livello del carattere. Il razzista, cioè, ha un carattere profondamente diverso da quello di una persona non razzista. Le posizioni che invece condividono l’idea che il punto di vista della morale si identifichi con il punto di vista della ragione non solo rendono meno forti le differenze tra le persone (e questo perché da queste stesse prospettive il razzista può essere una persona buona che però sbaglia a livello pratico), ma assumono anche una concezione molto povera del carattere e della vita delle persone.

Per le posizioni che difendono in morale il punto di vista della ragione può essere, per altro, già problematico sostenere l’idea che l’esperienza estetica possa giocare un qualche ruolo per la vita morale. Esse, infatti, possono anche non avere difficoltà a spiegare il pluralismo estetico (il fatto che le persone possono giudicare belle cose diverse), ma non possono non svalutare l’esperienza estetica.(5) Per il punto di vista della morale come punto di vista della ragione, cioè, si può anche accettare che persone diverse possano arrivare a giudicare belle cose diverse e che diversi possano essere gli «oggetti» la cui esperienza estetica permette di applicare meglio il punto di vista imparziale. Tuttavia, per la prospettiva che identifica il punto di vista della morale con il punto di vista della ragione le esperienze estetiche sono esperienze sentimentali e quindi meramente soggettive. Se, infatti, è solo il punto di vista della ragione (che esclude i sentimenti) che può assicurare ai giudizi il carattere dell’universalizzabilità, ovvero la loro validità per tutti gli individui, la conseguenza è che i giudizi estetici (in merito alla bellezza delle cose) – espressi a partire dai propri sentimenti e non dal punto di vista della ragione – non potranno avere un carattere universalizzabile. Chi esprime un giudizio estetico, cioè, non può presumere che il suo giudizio possa essere condiviso, in quanto i giudizi universalizzabili sono espressione solo del punto di vista razionale. Il problema, tuttavia, è che i giudizi estetici non possono essere ridotti a meri giudizi soggettivi, in quanto chi esprime un giudizio estetico pensa di esprimere un giudizio che può essere condiviso. Il fatto che non si tenga conto di questa caratteristica dell’esperienza estetica non depone, perciò, a favore del punto di vista della morale come punto di vista della ragione e, quindi, dell’imparzialità.(6) Se si assume, per altro, che i giudizi estetici siano meramente soggettivi (perché non razionali) si perde anche la possibilità riconoscere uno spazio alla relazione tra giudizi estetici e morali.(7) Si può affermare, infatti, che la nostra percezione della bellezza sia influenzata, anche in misura molto forte, dalla nostra prospettiva morale e, in modo particolare, dalla nostra concezione del bene. Se, tuttavia, i giudizi estetici sono giudizi meramente soggettivi si aprono solo due alternative. O la relazione tra giudizi estetici e giudizi morali sussiste, ma – considerata la stretta relazione che esiste tra i giudizi – non solo i giudizi estetici ma anche quelli morali sono meramente soggettivi. Oppure non sussiste alcuna relazione tra giudizi estetici e giudizi morali, in quanto i primi sono giudizi meramente soggettivi, mentre i secondi (quelli morali) sono giudizi universalizzabili.

 

 

3. L’esperienza estetica secondo il realismo morale

 

 Simili problemi, comunque, incontrano anche quelle prospettive che assumono una posizione di realismo morale, ovvero che difendono l’idea che ciò che è moralmente buono sia riducibile a certe proprietà.(8) Da questa prospettiva, infatti, l’esperienza estetica non solo non può essere utile per arrivare a cogliere quelle proprietà che rendono gli oggetti moralmente buoni, ma non può nemmeno contribuire al miglioramento o allo sviluppo del carattere (o i tratti del carattere) delle persone), in quanto l’esperienza estetica e quella morale fanno riferimento a proprietà diverse e, di conseguenza, non sembrano esistere possibilità di gettare ponti tra queste diverse esperienze e proprietà. Considerato, cioè, che le proprietà che rendono «bello» un oggetto sono diverse dalla proprietà che rendono un oggetto «buono», l’esperienza della bellezza (ed in particolare il fatto di cogliere le proprietà che rendono l’oggetto «bello») non può favorire il miglioramento morale (ed in particolare aiutare ad identificare quelle proprietà che rendono necessariamente un oggetto «buono»). In altri termini, l’esperienza della bellezza non può avere alcuna ricaduta sul piano morale. Da una prospettiva realista, comunque, non solo la bellezza non ha valore per la vita morale, ma i giudizi estetici non possono nemmeno essere espressione di una particolare concezione del bene e, quindi, la stessa cosa (da questa prospettiva) potrà apparire «bella» e non essere approvabile. Anzi una cosa che merita la disapprovazione morale non solo può essere percepita come esteticamente «bella», ma essere di fatto «bella» perché possiede proprietà che la rendono tale. È vero che la dimensione estetica e quella morale potrebbero essere messe in relazione (ed avvicinate) da una prospettiva realista che facesse coincidere le proprietà che rendono un oggetto buono (a livello morale) con quelle che lo rendono (lo fanno apparire) bello, in quanto, in questo caso, – dato che ci sarebbe una perfetta coincidenza tra dimensione della bellezza e quella della bontà – l’esperienza della bellezza sarebbe di fatto anche un’esperienza importante dal punto di vista morale. Tuttavia, una strada di questo tipo sembra di fatto essere preclusa a chi assume un posizione realista. Se, infatti, le proprietà che rendono un oggetto buono fossero le stesse di quelle che rendono un oggetto bello, ne deriverebbe una perfetta coincidenza tra dimensione del bello e del buono. Una coincidenza che non permette più di rendere conto delle diverse dimensioni dell’esperienza e che confonderebbe i piani, annullando la peculiarità dell’esperienza morale ed estetica. Per altro, una prospettiva realista non riuscirebbe a preservare la peculiarità e la specificità dell’esperienza estetica e di quella morale facendo riferimento ai sentimenti provati dalle persone. Se, infatti, le proprietà che rendono un oggetto buono fossero le stesse di quelle che rendono un oggetto bello, queste proprietà dovrebbero far sorgere nelle persone soltanto un particolare sentimento e, quindi, non avremmo più la possibilità di distinguere il sentimento morale da quello estetico.

Da una prospettiva realista, quindi, non è attraverso l’esperienza o la sensibilità estetica che le persone possono essere stimolate o indotte a diventare delle persone diverse da un punto di vista morale. Del resto, l’esperienza estetica può essere considerata importante per la dimensione morale soltanto da quelle concezione che riconoscono uno spazio allo sviluppo (o perfezionamento) morale. Le concezioni realiste, invece, (ed in questo queste concezioni commettono lo stesso errore delle prospettive che ritengono che il punto di vista della morale sia quello della ragione) assumono che basti raggiungere un particolare punto di vista sul mondo (e, quindi, da questa prospettiva la capacità di cogliere le proprietà che rendono un oggetto buono) per diventare una persona morale. Che, poi, all’interno di una prospettiva realista si possa discutere intorno a se questo particolare punto di vista sul mondo sia una seconda natura che si acquisisce attraverso l’educazione morale (9) e all’interno di pratiche condivise (10) o una qualcosa che è in relazione alla nostra natura biologica (al fatto, ad esempio, che attribuiamo valore agli oggetti),(11) questo non è affatto importante per la nostra analisi. Quello che è importante è che, da una prospettiva realista, il punto di vista morale coincida con questo particolare punto di vista sul mondo e, quindi, con la capacità (partendo da quel punto di vista sul mondo) di riconoscere con sempre più precisione gli oggetti che sono moralmente buoni.(12) Questo spiega perché alcune concezioni realiste ritengono che la scienza possa aiutare a identificare gli oggetti che hanno valore (che può essere quello morale, ma che può essere anche estetico). Se, infatti, il valore degli oggetti è strettamente legato al fatto di possedere determinate proprietà (e che queste siano le proprietà appropriate lo deduciamo dal punto di vista sul mondo che abbiamo), allora è chiaro che la scienza può aiutarci a determinare quali oggetti meritano la giusta considerazione.(13) In questo modo, però, ci troviamo a spiegazioni molto povere dell’esperienza morale, in quanto lo sviluppo morale (con l’inclusione nell’orizzonte morale di individui prima esclusi da ogni considerazione) non sarà più in relazione a cambiamenti negli atteggiamenti e nei sentimenti delle persone (alla capacità di cogliere, ad esempio, la sofferenza e le difficoltà di individui che prima ignoravamo), ma ad una migliore comprensione razionale e scientifica dei fatti che riguardano il mondo. Inoltre, la riduzione della dimensione morale (ed estetica) a determinate proprietà dell’oggetto, non solo non tiene conto del pluralismo morale, ovvero del fatto che persone diverse possono arrivare a giudicare «buone» cose diverse, ma non riesce nemmeno a spiegare (o riesce a spiegare solo con difficoltà) il fatto che non solo in morale ma anche in campo estetico i gusti cambino. Quello che, cioè, rende non accettabile una prospettiva realista in ambito morale come in ambito estetico è anche, da una parte, la svalutazione del pluralismo (sia morale che estetico) e, dall’altra, l’idea che sia un bene (qualcosa di desiderabile) che le differenze lascino il posto ad una maggiore uniformità. Si può affermare, infatti, che il pluralismo è una ricchezza che deve essere salvaguardata, in quanto il progresso può essere stimolato solo dal confronto con prospettive diverse. Per altro, risulta difficile da comprendere come possa avvenire questa riduzione del pluralismo.

C’è poi un’altra difficoltà che le prospettive realiste hanno in comune con quelle prospettive che assumono che il punto di vista della morale coincida con il punto di vista della ragione. Entrambe le prospettive, infatti, sono costrette ad escludere che gli animali (o gli esseri umani che non hanno capacità razionali molto sviluppate) possano arrivare ad essere agenti morali, in quanto ritengono che l’assunzione di un punto di vista morale richieda capacità razionali molto sviluppate ed, in particolare, la disamina attenta delle ragioni che abbiamo per attribuire valore alle cose. Mentre, però, il punto di vista della morale come punto di vista della ragione può ancora riconoscere agli animali non umani (o agli esseri umani che non hanno capacità razionali molto sviluppate) la possibilità di fare esperienze estetiche (in quanto esse hanno a che fare con sentimenti), una prospettiva realista in ambito estetico è costretta a negare agli animali anche questa esperienza. O, quanto meno, a negare che essi possano fare esperienza di quella che è la vera bellezza. In questi termini, la prospettiva realista non sembra allontanarsi dal quadro metafisico tradizionale che afferma l’esistenza di una profonda distanza tra esseri umani e gli esseri animali, in quanto i primi sarebbero in grado di fare esperienze estetiche e morali di cui i secondi non sono capaci.

 

 

4. L’esperienza estetica secondo la prospettiva sentimentalista

 

 Questi ultimi problemi possono essere evitati con maggiore facilità da una prospettiva di tipo sentimentalista. Da una prospettiva sentimentalista non solo le esperienze estetiche ma anche quelle morali possono essere ascritte agli animali, in quanto esse hanno a che fare con i sentimenti.(14) Secondo una concezione sentimentalista, infatti, la tendenza a distinguere tra cose buone e cattive (oppure tra condotte virtuose e viziose) e tra cose belle e brutte è qualcosa che non si basa sulla ragione, ma su uno specifico sentimento di approvazione o disapprovazione delle azioni o delle persone. Diverse, poi, sono le ragioni che permettono ad una prospettiva sentimentalista di riconoscere l’importanza dell’esperienza estetica per il perfezionamento del carattere (o dei tratti del carattere). Da una prospettiva sentimentalista, innanzi tutto, la sensibilità estetica può giocare un ruolo importante per lo sviluppo morale di sé, in quanto può spingere ad esercitare determinati caratteri. Dato, infatti, che per una concezione sentimentalista la tendenza a distinguere tra comportamenti virtuosi e viziosi non si basa sulla ragione ma su un sentimento di approvazione o disapprovazione (e, quindi, ha alla base una particolare sensibilità morale), ogni esperienza che concorre alla formazione di quella particolare sensibilità può essere un contribuito allo sviluppo morale.(15) Quello che, quindi, una concezione sentimentalista sottolinea è che sarebbe ingenuo pensare che il carattere morale delle persone sia completamente impermeabile all’influenza della sensibilità estetica, in quanto lo sviluppo di quella sensibilità ha ricadute importanti sull’identità personale: non solo, cioè, sull’idea di persona che si vuole essere ma anche sul tipo di ideali che si coltiverà. Con ciò, tuttavia, non si arriva ad affermare che la coltivazione della sensibilità estetica renda una persona buona o che basti avere una sensibilità estetica raffinata per avere una sensibilità morale. Per confutare questa idea sarebbe sufficiente pensare a quante sono state le persone che, pur coltivando una grande passione per l’arte e per la bellezza artistica, sono state capaci di crimini atroci.(16) Una concezione sentimentalista sostiene solo l’importanza della sensibilità estetica per il carattere. Il fatto, poi, che una persona possa coltivare una certa sensibilità estetica ma essere una persona con tratti del carattere non approvabili a livello morale può essere spiegato da una concezione sentimentalista facendo riferimento non tanto alla diversità di sensibilità estetica tra le persone, ma a quanto alcuni particolari gusti estetici possano essere segno e traccia di un cattivo carattere. Una persona, del resto, può avere anche una particolare sensibilità estetica (e un certo tipo di gusto), ma quella particolare sensibilità estetica può avere ricadute negative sul suo carattere morale e, soprattutto, – e questo è l’aspetto che qui ci interessa – avere un gusto che è moralmente criticabile. Questo significa che particolari sensibilità estetiche possono essere moralmente criticate e disapprovate, in quanto contribuiscono alla formazione e allo sviluppo di tratti del carattere non desiderabili o perché sono, comunque, espressione di tratti del carattere che meritano la nostra disapprovazione.(17) Questo legame tra esperienza estetica ed esperienza morale (tra sensibilità estetica e sensibilità morale) rappresenta, come detto prima, una delle caratteristiche dell’esperienza estetica. Solo, però, una prospettiva sentimentalista può riconoscere questo aspetto dell’esperienza estetica. Da una prospettiva realista l’esperienza estetica è distante da quella morale, in quanto le proprietà che rendono una cosa «bella» sono diverse da quelle che rendono una cosa «buona». Per una prospettiva realista, inoltre, la stessa idea che particolari sensibilità estetiche possano essere moralmente criticate perché incidono negativamente sul carattere (o perché sono segno di un cattivo carattere) delle persone risulta poco accettabile perché non si danno sensibilità diverse. In base ad una concezione realista, infatti, si possono immaginare soltanto due possibilità, ed una esclude l’altra: o la persona riesce a cogliere le proprietà che rendono un particolare oggetto «bello» ed in questo caso si potrà anche parlare di sensibilità estetica (ma il soggetto deve trarre piacere da questa relazione); oppure la persona non riesce a cogliere le proprietà che rendono un particolare oggetto «bello» e attribuisce la bellezza ad oggetti che hanno altre proprietà (che non sono, nello specifico, proprietà estetiche), ed in questo caso non si può affermare che essa abbia una sensibilità estetica.

Per la posizione, poi, che identifica la morale con il punto di vista della ragione e dell’imparzialità, la sensibilità estetica non sembra essere altro che qualcosa di meramente soggettivo, che dovrebbe essere messa da parte quando si assume il punto di vista della morale e, quindi, della ragione. Inoltre, anche per la prospettiva che identifica la morale con il punto di vista della ragione risulta poco sensata l’idea che particolari sensibilità possano essere moralmente criticate. Le sensibilità estetiche, infatti, sono qualcosa che non possono essere sottoposte al vaglio della ragione, in quanto esse sono, per loro natura, qualcosa di meramente soggettivo e, quindi, non razionali. Una prospettiva sentimentalista, invece, può dare spazio al pluralismo estetico (al fatto, cioè, che le persone hanno sensibilità diverse), senza per questo ridurre i sentimenti a qualcosa di meramente soggettivo. Dal punto di vista sentimentalista, cioè, è comprensibile che le persone abbiano sensibilità diverse, in quanto esse hanno concezioni del bene e stili di vita anche molto diversi. Questo, però, non significa che la sensibilità estetica sia riducibile ad un’esperienza soggettiva. Se è vero, infatti, che le persone possono avere concezioni del bene e stili di vita diversi, altrettanto vero è che esse possono condividere (e oltre a condividere anche comunicarsi) importanti valori. Per una prospettiva sentimentalista, pertanto, sarebbe sbagliato pensare che si possa sempre arrivare a condividere particolari giudizi estetici relativamente alla bellezza di un oggetto o di una situazione (e questo perché comunque le persone si distinguono in merito alla propria idea del bene), ma sarebbe ugualmente sbagliato pensare che le persone non possono mai convergere sulla bellezza (e questo perché comunque le persone, pur nelle loro differenze, possono condividono i valori). Di conseguenza, una prospettiva sentimentalista non solo può riconoscere il pluralismo estetico, ma si trova anche nella condizione di poter valorizzare la presenza di punti di vista diversi sul mondo. Mentre, infatti, per una concezione realista il pluralismo è qualcosa che deve essere superato, in quanto segna la distanza che le persone ancora hanno dalle proprietà che rendono le cose belle, per una concezione sentimentalista (che non assume che la bellezza o la bontà siano riducibili a determinate proprietà degli oggetti) la diversità può essere una ricchezza in quanto permette alle persone di confrontarsi con punti di vista diversi e di scoprire, quindi, nuovi orizzonti. Un margine di relativismo, cioè, non solo è qualcosa che non può essere eliminato (le persone avranno sempre gusti diversi e mentre alcune avranno maggiori piacere dalla natura, altre avranno maggiori soddisfazioni dalle opere d’arte), ma è qualcosa che rappresenta un valore in quanto permette alle persone, attraverso il confronto con posizioni diversi, di cambiare il loro punto di vista o di arricchirlo.

Siamo partiti, quindi, dall’idea un’appropriata concezione morale deve essere in grado di rendere conto dei tratti fondamentali dell’esperienza estetica ed, in particolare, dello stretto legame che etica ed estetica. Il risultato cui siamo pervenuti è che una concezione sentimentalista si trova in una posizione migliore rispetto ad altre concezione, in quanto può rendere conto meglio di questo legame.

 

 

Note

 

(1) M. Balistreri, La dimensione estetica nell’etica di Scarpelli, in “Bioetica”, XI, 4, 2003, pp. 672-686.

(2) N. Carroll, Art, narrative, and moral understanding, in J. Levinson (a cura di), Aesthetics and Ethics. Essays at the Intersection, Cambridge UP, 1998, pp. 126-160, in particolare, pp. 154-155.

(3) M.C. Nussbaum, Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, Feltrinelli, Milano, 1996, p. 96. 

(4) Ibid., p. 143.

(5) E. Lecaldano, La rilevanza morale degli animali e della natura. Un confronto tra paradigmi teorici in etica, in “Paradigmi. Rivista di critica filosofica”, XX, 60, 2002, pp. 443-467.

(6) Per la stessa ragione possono essere criticate le prospettive emotiviste (A.J. Ayer, Linguaggio, verità e logica, Feltrinelli, Milano 1961; C.L. Stevenson, Etica e linguaggio, Longanesi, Milano 1962) che escludono che si possa discutere sui valori morali ed estetici, in quanto quando si afferma un valore non si fa altro che esprimere i propri gusti del tutto personali.

(7) M. Seel, Eine Ästhetik der Natur, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1991. A. Carlson, Aesthetics and ehe Environment. The Appreciation of Nature, Art and Architecture, Routledge, London & New York 2000. A. Berleant, Aesthetics of Environment, Temple University Press, Philadelphia 1992, pp. 12-13: «un’estetica ambientale coivolge profondamente la nostra comprensione morale dei legami tra gli uomini e la nostra etica sociale. (…) L’estetica, quindi, non è una fuga illusoria dal regno morale ma diventa, infine, tanto la sua guida quanto il suo compimento».

(8) P. Railton, Aesthetic value, moral value, and the ambitions of naturalism, in J. Levinson, op. cit., pp. 59-105. J. McDowell, Aesthetics Value, Objectivity, and the Fabric of the World, in E. Schaper (a cura di) Pleasure, Preference, and Value, Cambridge University Press, Cambridge 1983, pp. 1-16; R. Elliot, Faking Nature. The Ethics of Environmental Restoration, Routledge, London, 1997. H. Rolston III, Environmental Ethics. Duties and Values in the Natural World, Temple University Press, Philadelphia 1988. Y. Sepänmaa, The Beauty of Environment. A General Model for Environmental Aesthetics, Suomalainen Tiedeakatemia, Helsinki 1986.

(9) J. McDowell, Mind, Value and Reality, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 1998; J. McDowell, Mente e mondo, Einaudi, Torino 1999.

(10) E.C. Hargrove, Fondamenti di etica ambientale. Prospettive filosofiche del problema ambientale, Franco Muzzio Editore, Padova 1990.

(11) H. Rolston III, Are Values in Nature Subjective or Objective?, in R. Elliott, A. Gare, Environmental Philosophy, Open University Press, Stony Stratford 1983, pp. 135-165.

(12) D. Wiggins, A Sensible Subjectivism, in S. Darwall, A. Gibbard, P. Railton, Moral Discourse and Practice. Some Philosophical Approaches, Oxford University Press, New-York-Oxford 1997, pp. 227-244. P. Railton, Il realismo morale, in P. Donatelli, E. Lecaldano (a cura di), Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni, LED, Milano 1996, pp. 183-231.

(13) H. Rolston III, Does Aesthetic Appreciation of Landscapes Need to be Science-Based?, in “British Journal of Aesthetics, XXXV, 4, 1995, pp. 374-386. E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998.

(14) D. Hume, Trattato sulla natura umana, in Opere filosofiche, a cura di E. Lecaldano, I, Laterza, Roma-Bari 1987.

(15) D. Townsend, Hume’s Aesthetic Theory. Taste and Sentiment, Routledge, London-New York, 2001.

(16) P. D’Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Laterza, Roma-Bari, 2001.

(17) S. Blackburn, Ruling Passions. A Theory of Practical Reasoning, Clarendon Press, Oxford 1998.