http://www.units.it/etica/2004_2/MANGANARO.htm
A neanche un mese dall'improvvisa e inaspettata scomparsa di Arduino Agnelli, apprezzato e stimato professore di Storia delle Dottrine politiche, lo sgomento è ancora vivo in tutti noi che abbiamo vissuto con lui per tanti anni, fianco a fianco, nel Dipartimento di Filosofia dell'Università di Trieste.
Uno
sgomento che nasce dalla consapevolezza della perdita di una inesauribile e
colta vitalità che ha contraddistinto
il suo agire nel mondo della cultura; una cultura mai intesa come
esclusivamente accademica ma in senso lato nelle sue più svariate
manifestazioni e connessioni: dalla letteratura, al cinema, al teatro, tutti
campi oggetto di sue appassionate frequentazioni; una vitalità profusa anche
nel mondo della politica dove l'impegno civile non è mai stato frenato o
costretto da quei calcoli a cui, invece, tale mondo ci ha sovente abituato.
Mi si
chiede, ancora “a caldo”, di tracciare un ricordo dello studioso e dell’uomo:
ci provo, conscia che il nostro collega e amico meriterà in altra sede una
riflessione ben più articolata e meditata dei brevi squarci che mi accingo a
proporre, ora, così come mi vengono alla mente.
Quel che
è certo è che è stato un uomo che ha vissuto intensamente la storia italiana di
tutta la seconda metà del novecento con molti dei suoi chiaroscuri e perciò la
sua stessa vicenda intellettuale e politica potrà rappresentare un percorso per
molti versi emblematico e tutto da studiare: si potrà infatti darne una lettura
critica anche ripercorrendo le contraddizioni dell’epoca a cui egli stesso non
si sottraeva e sottolineava con spiccato senso dell’ironia.
Ma,
tornando al compito che qui cercherò di assolvere delineandone un pur sommario
ritratto, penso che il miglior modo di farlo sia quello di rintracciare nello stretto rapporto tra
socialismo e nazione quel filo rosso che permette di legare i suoi tanti
eterogenei impegni e scritti in cui si è instancabilmente dedicato.
Il
binomio tra socialismo e nazione è, infatti, non solo una tematica presente sin
dagli inizi dei suoi primi studi ma continua impercettibilmente a costituire la
trama anche di saggi che solo ad un lettore superficiale potrebbero apparire
distanti da quel suo preciso punto di partenza, come ad esempio i suoi
interventi sul positivismo giuridico (1) o
sulla storia costituzionale.(2) È
mia convinzione, (ma solo una futura riflessione più documentata potrà o meno
confermarla), che anche dietro a tali temi o ai suoi interventi su realtà
istituzionali di livello europeo, come di livello locale, ci sia sempre
l’attenzione alle problematiche connesse al come l’idea di nazione e quella di
socialismo possano integrarsi, al come per dirla con le sue parole
“affratellare le diverse nazioni, farle partecipare ad atmosfere comuni, non
assoggettare gli uni alle egemonie degli altri”.(3)
A
partire, dunque, dal primo lavoro su Giuseppe Ferrari che, non a caso, sarà
ripreso nel senso anzidetto in modo più perspicuo nel 1998,(4) Agnelli ha saputo crearsi pioneristicamente uno spazio nella
cultura italiana affrontando per primo
autori politici sino allora piuttosto negletti; autori che lo avevano
interessato proprio per il loro tentativo di coniugare ciò che la dottrina
marxista ortodossa collocava tradizionalmente agli antipodi: nazione e
socialismo appunto. Si tratta di quei pensatori che ora sono riconosciuti come
appartenenti alla corrente di pensiero austro-marxista e che si erano posti il
problema di come risolvere, all’interno dell’impero asburgico, sul finire del
secolo diciannovesimo, l’urgere sia del problema nazionale che di quello
sociale.
Agnelli
mette in evidenza come le teorie di K. Renner e O. Bauer (5) a favore dello stato plurinazionale e federale costituiscano
una risposta alle insufficienze dello stato nazionale di origine quarantottesca
che, di fronte ai bisogni irrisolti della propria comunità, non sapeva far
altro che ricorrere all’espansionismo coloniale. La soluzione escogitata dai
socialisti austriaci mirante al rispetto delle nazionalità al di là delle
circoscrizioni territoriali degli stati esistenti, consente di evidenziare che
vi è una esigenza universale di rispetto di ciascuna identità nazionale
comprensiva, quindi, della protezione delle minoranze. Allo stesso tempo,
consente di comprendere il problema del risveglio delle tematiche nazionali
nell’Europa orientale, in quelle nazioni cioè che Engels aveva definito “nazioni
senza storia”, e condannate, nel giudizio storico, a esser variamente
sottoposte all’influenza o tedesca o russa. Inoltre, sempre nella ricostruzione
di Agnelli, K. Renner giunge ad
affermare che lo stato diverrà la leva del socialismo, in polemica con coloro
che sostengono che nel pensiero di Marx c’è posto solo per l’estinzione dello
stato, mentre O. Bauer teorizza compiutamente le vie nazionali al socialismo le
quali, pur se tendono all’incontro, sono e non possono essere che plurime.
La tesi
che emerge, in altri termini, dalla ricostruzione del nostro autore è che
“l’autentica universalità del proletariato si oppone al falso universalismo che
lo vuole incatenare, così come l’universalità riposta nelle individualità
nazionali mette in crisi le mistificazioni dei nuovi universalismi insofferenti
delle diversità”.
La sua
formazione idealistica si esprime nel gusto di un uso sapiente del metodo dialettico che gli consente di attribuire
insieme universalità e individualità tanto al proletariato come alla nazione in
cui si identifica. C’è un dato di tensione che gli permette di superare le
ideologie contrapposte tenendo assieme l’esigenza di socialismo con quella di
comunità culturale nazionale mai dipinta naturalisticamente come un dato
territoriale e men che meno di etnia seguendo in ciò l'insegnamento ricavato
dalla oramai classica distinzione di Federico Chabod.
Dopo il
primo importante saggio ecco apparire a soli due anni di distanza nel 1971 La
genesi dell’idea di Mitteleuropa (6) che
si lega a tali tematiche direttamente ed anzi ne costituisce un approfondimento
visto che mira a rintracciare le prime prese di posizione ottocentesche sul
tema. Oggetto del suo studio è quello di confermare quindi la sostenibilità di
una distinzione tra il significato culturale e politico originario del termine
Mitteleuropa, presente appunto nell’area asburgica, rispetto a quel significato
che, invece, viene assumendo nel novecento, sia dopo la prima guerra mondiale
che negli anni trenta, come espressione della dottrina geopolitica tedesca a
giustificazione delle sue mire espansionistiche.
Il nesso
tra nazione e socialismo diventa, da questa nuova angolatura, ancora indagine
sulla possibilità di una visione in cui coesistono nazioni diverse ma in una
precisa area spaziale che ora si suole identificare con l’Europa centrale. E
tale prospettiva lungi dal limitarsi solo alle sue radici storiche viene
seguita da Agnelli nelle sue successive evoluzioni sino ai nostri giorni. A più
riprese, egli ritorna sull’idea di Mitteuropa come luogo di una collaborazione
ovest-est non solo approfondendo le tesi della “Grande Germania” con il suo
saggio su Heinrich Ritter von Srbik,
(7) ma più tardi con vari contributi dedicati
al tema (8) allo scopo di ripensare con spirito nuovo,
già fin dalla metà degli anni settanta, ben prima dunque della caduta del muro
di Berlino, le ragioni della distensione internazionale in atto. In tale fase
di distensione gli sembravano aprirsi degli spiragli per la comprensione
inter-etnica proprio con e tra quei popoli slavi che- lo ribadiva- erano parte
di quella Mitteleuropa da intendersi
come spazio culturale e non in senso deterministico alla maniera della
geopolitica.
Il fatto
poi che proprio in quegli anni si fosse pienamente attuata l’autonomia
regionale del Friuli Venezia Giulia, una regione in cui, da triestino, aveva
vissuto in prima persona il travaglio derivato dalla eterogeneità delle sue
componenti e delle loro differenti e laceranti storie e culture, pare ad
Agnelli, una volta di più, confermare il fine ineluttabile di quel movimento
che, prendendo avvio dall’idea originaria di Mitteuropa, portava verso la
integrazione dei popoli.(9) In questo caso gli pare
un ulteriore tassello che prova la possibilità di una mutua comprensione tra la
maggioranza e la minoranza etnica nella sua travagliata terra d’origine ma
anche tra la gente del Friuli e la gente della Venezia Giulia la cui coesione e
collaborazione non poteva certo darsi per scontata. Ecco perché, in quegli
anni, l’attenzione ai problemi dell’autonomismo possono venir letti, ancora una
volta, come una riprova della trama soggiacente la riflessione a cui abbiamo fatto cenno più sopra. I temi
dell’autonomismo friulano e giuliano a cui dedicherà più di una ricostruzione
storica (10) continuano a presentarsi ai suoi occhi
come parte di un processo di riconoscimento dell’individualità dei singoli
popoli in sintonia con le ragioni della collaborazione più che con quelle della
atavica contrapposizione.
E sullo
stesso registro si pongono, paradossalmente, anche le attenzioni rivolte da
Agnelli al mondo più vasto della distensione internazionale dove andavano
rafforzandosi i processi di integrazione europea alla radice dei quali egli
vedeva lo stesso tema universalistico presente nell’idea di nazione. Il
progetto Pan-europeo di Coudenhove-Kalergi viene da lui riletto criticamente alla luce del fallimento
del piano Briand ispirato appunto da tale progetto e presentato nel 1929 alla
Società delle Nazioni. Il giudizio di Agnelli è che non si poteva non
“convenire con coloro che fin dall’inizio avevano ritenuta improduttiva
un’iniziativa incapace di cimentarsi con l’autentica radice del male, uomini
appartenenti tutti allo schieramento socialista come Léon Blum che fin
dall’inizio avevano avvertito come il passo sul mantenimento della sovranità
incondizionata avrebbe complicato anziché semplificare l’esame della questione
o come Rudolf Breitscheid per il quale le difficoltà si sarebbero potute
superare solo a condizione di mostrare il coraggio d’un reale abbandono del
concetto di sovranità dello stato nazionale”.(11)
È proprio
lo scarso coraggio ad affrontare la questione dal punto di vista politico e non
solo economico, dal punto di vista del necessario affievolimento della
sovranità statale che avrebbe dunque determinato il fallimento del piano del
socialista Briand.
L’attenzione
alle dinamiche istituzionali resta comunque solo uno dei penchant connesso e continuamente interferente con l’altro, legato
ai temi del socialismo sia quello austriaco che quello italiano.(12)
Del resto
non poteva non essere così anche perché egli non aveva mai cessato di
impegnarsi politicamente nelle fila del Partito socialista fino ad arrivare non
solo ad essere sindaco di Trieste ma anche senatore della Repubblica in due
legislature a partire dal 1987.
Possiamo
dire anzi che, negli anni della maturità, sembra esserci un continuo passaggio
dal pensiero all’azione che dalle letture traeva alimento ma anche ragioni per
battaglie politiche contingenti, senza sosta, in una continuità di rimandi e di
intrecci pressoché inarrestabili. A partire dalla fine degli anni 80 è, dunque,
impossibile separare il colto professore di Storia delle Dottrine politiche dal
politico entusiasta e generoso.
Tuttavia,
questa nuova dimensione di vita assunta a pieno tempo e il contatto con gli
ambienti della capitale mi sembrano segnare, pur nella continuità
dell’ispirazione, una curvatura a favore della riflessione in termini più
convintamente nazionali.
Non a
caso in quegli anni si farà promotore attraverso la Giunta centrale per gli
studi storici di un convegno di studi sul tema Nazione e nazionalità in Italia dalla prima guerra mondiale ai nostri
giorni ( 15-28 settembre 1993) da tenersi a Trieste (13) i cui atti sono stati recentemente pubblicati. Nel suo
intervento ricostruisce il percorso della vicenda italiana dal Risorgimento
all’ultimo decennio del secolo sempre attraverso il nesso nazione-libertà e lo
confronta esplicitamente con la dimensione europea. Ebbene la chiave
interpretativa resta la stessa, senza cioè soluzione di continuità, sebbene non
si possa non segnalare, nell’ultimo Agnelli, una adesione più forte alla
dimensione nazionale che a quella europea. Questo forse perché l’Europa non è
più ora sogno futuro ma una realtà in cui non gli sembra si sia realizzata
quella dimensione plurima che aveva sempre auspicato ma si sia piuttosto
concretizzato un arido legame burocratico che
opprime le individualità nazionali. Ciò l’induce a porre l’accento sulla
rivendicazione delle singole specificità quasi per timore che i fenomeni
incombenti della globalizzazione dell’economia e dei costumi possano portare a
una perdita di quella ricca pluralità di individualità nazionali che, a suo
avviso, ha sempre costituito il pregio dell’Europa stessa : “la nazione che è
identità individuale non si regge se non è forte d’un principio universale. Né
l’identità individuale può reggersi se sottoposta al peso di falsi
universalismi, quali quelli delle ideologie che, dominanti fino a poco tempo fa
sembrano volgere al tramonto. L’insidia, secondo me, viene però anche da certi
modi di intendere l’integrazione europea che avviliscono le componenti. Non
dobbiamo farci piccoli per entrare in un complesso più grande, che sarà tale
solo se noi saremo migliori”.(14)
Questo
invito all’essere migliori, a sostanziare “eticamente” l’Europa che stiamo
costruendo perché questo processo non sia ridotto semplicemente a procedure amministrative o giuridiche che
spersonalizzano le nazioni e tolgono idealità alla politica, egli lo ribadisce
in occasione di un convegno voluto dalla associazione mazziniana livornese nel
2001 dove commentando come una provocazione
il titolo dato dall’amico e collega
Salvo Mastellone a un suo recente volume su Mazzini (15) riflette sulla critica crociana allo stato etico di hegeliana
memoria. Certo essa non va condivisa quando assume i connotati di "una
teoria governativa della morale"
ma “oggi, pur ritenendo sempre assai
feconda la lettura degli Elementi
di politica, credo -dice- si debba riconsiderare il problema dello Stato
nella sua complessità in modo che dalla distinzione tra azione morale e azione
politica si apra uno spazio etico non necessariamente risolutore e inglobatore,
e tuttavia tale da potervi respirare un soffio animatore quale quello
mazziniano”.(16)
È un
richiamo che si capisce se si tiene conto che appartiene a una persona che ha
dedicato la propria vita all’insegnamento delle Dottrine Politiche e sente che
questo magistero ha senso solo se si sostanzia di quei valori di reciproco
rispetto che hanno portato alla creazione dell’Europa ma che non possono
risolversi in quel burocratismo
operante a Bruxelles di cui ha avuto conoscenza diretta in qualità di membro
della Commissione degli affari esteri del Senato.
L’ultimo
Agnelli è anche quello segnato dallo scioglimento traumatico del partito
socialista da un lato e dalla progressiva distanza dalle sue giovanili
preferenze per il federalismo che vede compromesse dalla inefficacia delle
politiche regionali che ora gli paiono strumento di una pericolosa tendenza
centrifuga. Ripensando alle ultime discussioni con lui mi sembra di potervi
scorgere quel senso di spaesamento inconfessato che ha preso tutti quelli che
interpretavano la militanza politica come realizzazione di valori, per intima
convinzione, come era il suo caso, e non per mero calcolo politico.
È il rimpianto per un mondo che ha certamente idealizzato, unito alla constatazione della diaspora socialista, che mi sembra lo porti negli ultimi tempi a accentuare l’attenzione per il valore nazionale, si badi bene nazionale mai nazionalista come l’unico valore capace di unire quello che altrimenti gli sembra diventare solo un povero mondo di interessi materiali in conflitto. Anche la scelta a favore del proporzionalismo, di cui intendeva farsi promotore, va intesa in questo senso come il tentativo di realizzare una maggior partecipazione democratica nel paese seguendo i suggerimenti di uno dei suoi autori preferiti: H. Kelsen.
La fine
del partito socialista, dopo le vicende di tangentopoli, lo aveva dunque
profondamente amareggiato e non se ne capacitava abituato a misurare sul suo
metro tutti gli altri. Un metro che per quanto lo concerneva lo aveva lasciato
assolutamente incontaminato. Mi si permetta di ricordare qui ciò che, recentemente,
mi aveva confessato cioè di non aver mai avuto il senso della proprietà e di
aver acquistato molto tardi l’appartamento in cui aveva vissuto per tanti anni
in affitto solo per non creare disagio alla moglie molto malata per la quale un
qualunque trasloco avrebbe potuto rappresentare un grosso trauma.
Ma,
accanto a questi momenti di amarezza per un mondo perduto, un nuovo mondo gli
si apriva e lo coinvolgeva: quello degli stati ex comunisti alla cui esperienza
si era avvicinato da tempo (17)
ma che ora, dopo le tremende lacerazioni seguite al disfacimento della
ex-Yugoslavia, gli apparivano come un laboratorio politico da seguire e, perché
no, da aiutare.
L’essere
stato proiettato sullo scenario internazionale grazie al lavoro svolto nella
Commissione esteri gli aveva aperto la possibilità di fare visita a quelle
nazioni “senza storia” che si affacciavano al mondo occidentale ora dopo più di
50 anni di comunismo. La curiosità lo spingeva a visitarli e a scoprirvi invece
quanta parte d’Europa custodivano non solo nei monumenti e nei loro monasteri
ma nella stessa cultura delle loro università intrecciando rapporti in
particolare con i serbi ma anche con i rumeni che lo insignirono di una laurea
honoris causa.
Istintivamente,
mi diceva, sto dalla parte dei più deboli, ora bistrattati eppure pienamente
europei quanto a cultura, come noi. Che il suo giudizio sugli ultimi
avvenimenti nei paesi della ex-Yugoslavia fosse talvolta influenzato più dalle
letture mazziniane, dalle simpatie e amicizie personali che da una impietosa
analisi delle dolorose responsabilità di così tragiche vicende è cosa che non
tocca il dovuto riconoscimento che si deve a un uomo, a un professore sempre
onesto negli intenti, sempre sinceramente entusiasta per ogni iniziativa volta
a creare i presupposti per la distensione dei conflitti, sempre disponibile,
fino all’ultimo contributo dato nella conferenza sulla Turchia e sulle ragioni
della sua adesione all’Europa tenuta poco prima di lasciarci, tenuta in nome di
quella “vita activa” che sola valeva la pena di essere vissuta per lui.
Note.
(1) Fin dai suoi primi saggi :
Il diritto secondo Ferrari, Padova, Cedam, 1958 e John Austin alle origini del positivismo giuridico Torino
Giappichelli,1959, Agnelli si guarda bene dal tentare un’analisi tecnica del
problema giuridico e in entrambi coglie lo sforzo di concepire “la normatività
come estrinseticità” , di giustificare la contaminazione tra “politicità e
giuridicità” che apre l’ordinamento giuridico alle esigenze della storia.
(2) A. AGNELLI, Storia costituzionale ed oltre in Per Carlo Ghisalberti: miscellanea di studi, a cura di E. Capuzzo,
E. Maserati, Napoli Edizioni scientifiche italiane, 2003, pp. 705-725.
(3) A. AGNELLI, Questione nazionale e socialismo, Bologna, Il Mulino, 1969, p. 33.
(4) A. AGNELLI, Filosofia,socialismo e federazione repubblicana in Giuseppe Ferrari,
in Il federalismo tra filosofia e
politica a cura di Ugo Collu, Centro per la filosofia italiana, Roma,
Nuoro, 1998, pp. 405-441.
(5) A. AGNELLI, Questione nazionale e
socialismo, cit.
(6) A. AGNELLI, La genesi dell’idea di Mitteuropa, Milano, Giuffré, 1971.
(7) A. AGNELLI, Heinrich Ritter von Srbik, Napoli, Guida, 1975.
(8) A. AGNELLI. Mitteuropa, la questione
ideologica, in “Itinerari” n 216-225, ottobre-dicembre 1975; gennaio-luglio
1976, pp. 30-57; Mitteuropa: le diverse espressioni dell’idea negli ultimi
due secoli in La Mitteuropa nel tempo, Gorizia, Istituto per gli
incontri culturali mitteuropei, 1981, pp.5-14.
(9) A. AGNELLI, Il Friuli-Venezia Giulia
dalla Resistenza allo Statuto speciale, in La Regione Friuli-Venezia
Giulia. Profilo storico-giuridico tracciato in occasione del 20° anniversario
dell’istituzione della Regione, a cura di Arduino Agnelli e Sergio Bartole,
Bologna, Il Mulino, 1987, pp.21-57.
(10) A. AGNELLI, L’autonomismo friulano nel
Regno d’Italia e quello giuliano nell’Impero asburgico: sentieri diversi e
incroci in Atti del convegno storico-giuridico sulle autonomie e sulle
minoranze, Trento, Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, 1981, pp.
157-180; Gli autonomisti giuliani e l’avvento del fascismo in Il
fascismo e le autonomie locali, Bologna Il Mulino, pp. 171-203; Autonomia
e regionalismo in Italia in Autonomia e federalismo nella tradizione
storica italiana e austriaca, a cura di M.Garbari e D.Zaffi, Trento,
Società trentina di studi storici, 1996, pp.69-78.
(11) A. AGNELLI, Da Coudenhove-Kalergi al piano Briand
in L’idea di unificazione europea dalla prima alla seconda guerra mondiale,
a cura di S. Pistone, , Torino, Fondazione Luigi Einaudi1975 pp. 39-57.
(12) A. AGNELLI, Socialismo triestino,
Austria e Italia in Il movimento operaio e socialista in Italia e
Germania dal 1870 al 1920, a cura di Leo Valiani e A. Wandruszka, Bologna,
1978, pp. 221-280; Austria-partito socialista austriaco in I partiti
socialisti d’Europa a cura di Alceo Riosa, Milano, Teti, 1979, pp. 11-25.
(13) A. AGNELLI, L’idea di nazione all’inizio e nei momenti di crisi del secolo XX ,
in A. A. V.V. Nazione e nazionalità in
Italia, Bari, Laterza, 1994, pp. 15-36.
(14) Ibidem p. 32.
(15) SALVO MASTELLONE, La Democrazia etica di Mazzini (1837-1847), Roma, Istituto per lo
Studio del Risorgimento italiano, 2000.
(16) A. AGNELLI, I pensieri sulla
democrazia in La democrazia di Mazzini forma sociale di governo,
“Argomenti storici”, nuova serie, 2002-1 p. 53.
(17) A. AGNELLI, L’Europa occidentale e gli
Slavi del Sud. Note Introduttive in B. SALVI, Il movimento nazionale e politico degli sloveni e dei croati
Trieste, Isdee, 1971, pp. 9-23 ;La
questione nazionale nell’Europa centro-orientale in Per Federico Chabod (1901-1960) Materiali di Storia 5, Annali della
Facoltà di Scienze Politiche di Perugia 1980-81 pp. 119-132; Il destino dei popoli slavi nella
prospettiva europea di Niccolò Tommaseo in Niccolò Tommaseo e Firenze, a cura di R.Turchi e A.Volpi, Firenze,
Olschki, 2000