Sex virus? Ethical and political implications of Aids research

Abstract

It is commonly thought that science is an ‘happy island’ where high standards of methodological and ethical rigour leave scarce room for unfairness, briberies, and frauds. However, a recently published book on Aids research (Luca Rossi, Sex virus, Milano, Feltrinelli, 1999) suggests that this is not always the case. Rossi’s book, which includes a number of enlightening interviews both with the supporters and the critics of the ‘standard view’ about Aids, is a good starting point for rethinking the Hiv-Aids causal hypothesis.

In this paper it is argued that: 1) the standard Hiv-Aids hypothesis has been accepted - basically for extra-scientifical reasons - without sufficient confirming evidence; 2) there are well-grounded criticisms to the standard view, which are supported by respected members of scientific community; 3) these criticisms are subject to a systematic censorship; 4) the rules of funding in Aids research do not warrant an adequate economical support to the critics of the standard view.

A general lesson which can be drawn from Aids research is that any intellectual, political, and economical obstacle to the proliferation of competing programmes of research is an obstacle to progress in any field of scientific enterprise.

 

Sex virus?

Implicazioni etiche e politiche della ricerca sull’Aids

 Fabio Franchi
Medico ospedaliero, specialista in Malattie Infettive, ricercatore indipendente, partecipa alle attività del
"Group for the Scientific Reappraisal of Hiv-Aids Hypothesis", fin dalla sua fondazione.

 Pierpaolo Marrone
Università di Trieste, Dipartimento di Filosofia, membro del
"Group for the Scientific Reappraisal of Hiv-Aids Hypothesis"


1. Introduzione

Qualche anno fa, quando era appena esplosa la 'questione morale', alcuni rimasero colpiti dalla dichiarazione di un Pubblico Ministero di Pordenone (Raffaele Tito), il quale sosteneva – a proposito della diffusa corruzione – che compito dei magistrati è quello di correggere i comportamenti sociali 'patologici'. Se però un comportamento che viola il codice penale è molto diffuso, questo entra a far parte del 'normale' funzionamento della società. Diventa perciò inutile – sempre secondo il magistrato – ostinarsi a perseguirlo.(1) Questa opinione, certo discutibile, riflette quello che realmente avviene. Nella politica e nella vita sociale, insomma, la morale, è più 'plastica' del previsto e i punti di riferimento sono spesso insicuri.

Si ritiene che, invece, nella scienza vi sia un rigore molto maggiore, e che la ricerca della verità sia normalmente soggetta a procedure pubbliche di controllo e di verifica, ma purtroppo non è sempre così. Ci proponiamo di dimostrare che anche nella scienza può accadere qualcosa di molto simile a quanto osservato dal PM Tito. La ricerca sull'Aids è uno degli esempi più eclatanti. Prenderemo spunto dal recente libro di Luca Rossi (Sex virus, Milano, Feltrinelli, 1999), che ravviva la tradizione europea del conte philosophique. Il volume racchiude stringenti e accurate interviste ai protagonisti della lotta all'Aids. Rossi riesce molto bene a mostrare, con una narrazione ironica ed efficaci sintesi esplicative, come un'aura di conformismo abbia avvolto la ricerca sull'Aids, mescolando interessi istituzionali, errori cognitivi, giochi politici, e passando così in secondo piano la ricerca della verità. "La verità erano quelli che venivano ascoltati. Ma non lo erano perché dicevano la verità; lo erano perché venivano ascoltati" (2) – questa la sua amara considerazione. Nel seguito avremo più volte occasione di ricorrere ai materiali raccolti da Rossi.


2. Aids e comportamenti etici

Fin dal suo esordio negli anni 1981-85, l'Aids ha coinvolto tutti. Di fronte all'esplosione della malattia, ognuno ha dovuto ripetutamente valutare il suo comportamento in un'ottica morale, spesso con un alto grado di coinvolgimento emotivo, anche se negli ultimi anni l'iniziale emotività si è molto attutita, soprattutto per il fatto che la temuta grande epidemia non si è materializzata.

È interessante considerare retrospettivamente le reazioni delle diverse componenti sociali e delle autorità mediche e sanitarie davanti al diffondersi dell'Aids.

L'atteggiamento del pubblico, colpito dagli allarmi lanciati attraverso i mezzi di comunicazione, è oscillato da atteggiamenti di condanna e paura a quelli di solidarietà verso gli 'infetti'. Il grande impatto provocato dalla commistione esplosiva tra amore, sesso e 'rischio mortale' ha portato non solo a sopravvalutare il problema, ma anche a una scarsa disposizione critica nei confronti di quella che Duesberg, Rubin e persino Montagnier hanno definito come la nuova religione: la 'Scienza'. In questo è venuto largamente meno quell'atteggiamento critico e spregiudicato che la pratica scientifica dovrebbe favorire come costume intellettuale.

Negli anni Ottanta molti giornalisti e opinion leader si sono fatti paladini, attraverso la loro professione, di un'opera di tipo 'missionario': dovevano arrivare a quante più persone possibile e con il maggior impatto possibile. Ritenevano così di poter salvare con l'arma dell'informazione la società, che altrimenti avrebbe corso rischi gravissimi, poiché l'epidemia "era scoppiata" e il vaccino e la terapia non erano pronti. In una simile atmosfera, persino alcune esagerazioni erano giustificate.

Gli operatori sanitari, colpiti dalla drammaticità dei casi clinici e influenzati a loro volta dagli scienziati che spasmodicamente cercavano di fronteggiare un morbo apparentemente nuovo e inarrestabile, hanno reagito in modo simile. Da una parte vi era l'imperativo di assistere con dedizione i malati, di bloccare il contagio, dall'altro emergeva talvolta una sorta di risentimento verso tossicodipendenti, omosessuali e prostitute, i cui comportamenti sembravano mettere in grave pericolo quelli che, come loro, si trovavano in 'prima linea'.

Dunque, per i giornalisti, il pubblico e i medici, l'atteggiamento morale si è a lungo dibattuto fra il tentativo di conciliare la difesa della società, la difesa degli individui colpiti, e le proprie preoccupazioni. Conciliazione non sempre facile da ottenere, se pensiamo che una delle proposte discusse negli anni Ottanta è stata quella di marchiare con un inchiostro indelebile i sieropositivi, in modo che i 'sani' non avessero difficoltà a riconoscerli ed evitarli!

La popolazione, all'inizio, si è completamente fidata di quanto comunicato con grande allarme dalle autorità sanitarie pubbliche; queste a loro volta si sono fidate delle 'scoperte' di un gruppo molto influente di scienziati.

Di quale gruppo si tratta? Poiché la causa ufficiale dell'Aids è identificata con un retrovirus, è ai retrovirologi che bisogna guardare con particolare attenzione. Occorre però tenere conto del particolare momento in cui è avvenuta la 'scoperta': il 'nuovo virus' è apparso proprio in un'epoca in cui le malattie infettive erano ben conosciute e in gran parte controllate. Inoltre, solo pochi anni prima, negli anni Settanta, l'ipotesi sull'origine virale dei tumori, nella quale questi stessi gruppi di scienziati avevano riposto la speranza di grandi prospettive terapeutiche, aveva dovuto essere mestamente accantonata per manifesta inconsistenza. In questa situazione l'Aids poteva indubbiamente rappresentare per loro la possibilità di un grande riscatto.

Riteniamo, pertanto, che su questo gruppo di scienziati ricadesse la maggiore responsabilità complessiva, e perciò proprio da parte loro si sarebbe dovuto pretendere il più alto rigore intellettuale e morale, inteso come piena aderenza agli standard di precisione, acribia, pubblicità, comunicabilità della ricerca scientifica (onori e oneri). Poiché tale rigore è venuto a mancare proprio su aspetti di primaria importanza, come sarà facile esemplificare, ogni dubbio sui risultati vantati è giustificato. La mancata reazione a queste scorrettezze, una volta divenute di dominio pubblico, ha coinvolto e reso in un certo senso complice una fetta molto consistente della società, allargando appunto le responsabilità, inizialmente ristrette.

Infatti, il muro di censura non è stato impenetrabile, ha avuto ed ha brecce non trascurabili attraverso cui poter guardare. Fin dal 1987, e in misura maggiore dai primi anni Novanta, sono state pubblicate numerose critiche alle ipotesi ufficiali. Queste critiche, pubblicate su riviste scientifiche di primo piano ("New England Journal of Medicine", "Science", "Nature", "Cancer Research", "The Lancet", "Genetica", ecc.), sono poi state riprese con evidenza da alcuni mezzi di comunicazione.

La maggior parte dei ricercatori e dei medici hanno tuttavia scelto di non prenderle in considerazione. Si tratta di un atteggiamento in qualche modo legittimo? Chiaramente no: mentre dal punto di vista giuridico è fallace sostenere l'argomento "non poteva non sapere", nel campo scientifico questa asserzione è valida. La ragione è semplice: mentre in campo giuridico ciò che conta è la responsabilità individuale, ossia l'accertamento che un determinato individuo abbia commesso o non commesso un reato, in campo scientifico fanno parte integrante delle qualità del ricercatore la conoscenza e il vaglio delle varie ipotesi esistenti nel suo ambito di ricerca. In altre parole: gli scienziati non possono sottrarsi a una valutazione, secondo una precisa ottica scientifica, delle argomentazioni contrarie. Per chiarire con un esempio negativo, la pubblicazione di un lavoro di Duesberg – uno dei più prestigiosi critici delle dottrine ufficiali sull'Aids – sui "Proceedings of the National Academy of Sciences", (3) la rivista della Accademia delle Scienze americana , è stata effettuata con l'impegno della rivista a pubblicare nel numero seguente una controreplica di Gallo. Questo avveniva nel 1989 e a tutt'oggi Duesberg e i lettori la stanno ancora aspettando.

La cosa grave è che un tale silenzio è continuato anche quando, essendo addirittura affiorate segnalazioni documentate di frodi consistenti, non è avvenuta nessuna reazione adeguata.

Anche in queste occasioni la maggior parte della comunità scientifica ha fatto quadrato attorno a quelli che le hanno commesse, permettendo loro di continuare a muovere le fila della ricerca, dei fondi, delle pubblicazioni. Paradossalmente sono stati estromessi e isolati quelli che con coraggio hanno tentato di correggere – con una critica costruttiva, documentata e scientificamente valida – errori, distorsioni cognitive, non sequitur, chiari abusi empirici ed etici nelle sperimentazioni.


3. Aids e disinformazione

La grande stampa, le maggiori reti televisive, le principali riviste scientifiche hanno espresso la linea dei centri di potere scientifico operando una stretta censura sulle opinioni dissenzienti. In questo generale atteggiamento conformistico, alcuni canali d'informazione hanno, per la verità, riportato informazioni non allineate, ma non sono sinora riusciti a ribaltare la situazione. Come è stato possibile realizzare questo in un'epoca in cui Internet – che molto difficilmente può essere censurato – cominciava a dominare la scena mondiale? Se noi immaginiamo che la censura debba essere esplicita siamo in errore. La censura si può altrettanto bene, e forse meglio, esprimere attraverso il 'consenso' su teorie e fatti distorti. Di fatto, l'opinione pubblica e quella di settori specialistici è guidata proprio dal 'consenso' che viene espresso sui principali mezzi di comunicazione. È sufficiente controllare questi ultimi, e il gioco è fatto. Non serve la censura totale. È stata una singola eccezione il solo "Sunday Times" edito a Londra. Durante un periodo di alcuni anni (dal '92 al '94), ha pubblicato con grande rilievo articoli a tutta pagina sulla questione, (4) riscuotendo notevole successo e vivace dibattito tra i lettori. Erano firmati da un grande giornalista, Neville Hodgkinson, appassionato e nel contempo obbiettivo, capo-redattore della sezione scientifica. Tuttavia la mesta conclusione è stata che al direttore del giornale, che aveva resistito alle pressioni esterne affinché lo allontanasse, "è stato affidato altro incarico" e, di conseguenza, lo stesso Neville Hodgkinson ha dovuto andarsene.

Appare quindi perlomeno curioso che negli Stati Uniti la 'società civile' sia stata tanto orgogliosa e intransigente da mettere a lungo sotto processo il suo presidente in carica per qualche bugia sulla sua sfera privata, mentre, nel contempo, abbia tollerato che, in settori ben più importanti e seri come la ricerca sull'Aids, la manipolazione della verità non avesse conseguenze di sorta e anzi potesse continuare nel tempo.

Vedremo, nel seguito, come scorrettezze formali e sostanziali abbiano interessato il cuore della ricerca sull'Aids e di cosa siano stati capaci di fare e di dire i suoi protagonisti, tenendo ben presente che si tratta di una scelta a scopo esemplificativo di fatti un po' meno noti tra i tanti di cui abbiamo notizia.


4. Irregolarità riguardanti la diffusione epidemica

Chi non ricorda i grandi e drammatici titoli sul dilagare della spaventosa epidemia, negli anni 1986-1995? Le autorità sanitarie qualificavano come bugiardi e pericolosi irresponsabili coloro che facevano notare come stime e previsioni e interpretazioni della cosiddetta epidemia fossero abbondantemente sbagliate. La verità, sempre tenuta nascosta, è che, appunto, l'epidemia di sieropositività non c'è mai stata, dall'inizio dell'uso dei test ad ora (anni 1986-1999).

Ecco cosa ammette nel 1994 Patricia L. Fleming, direttrice della Reporting and Analysis Section della Divisione Aids dei Centers for Disease Control (i famosi CDC di Atlanta) (5) a proposito dell'incidenza della sieropositività di fronte a Luca Rossi che la intervista:

"Siamo in grado di controllare tutte le donne che partoriscono negli Stati Uniti, per cui ogni anno sappiamo esattamente quante partorienti sono sieropositive: ... esattamente lo 0,17%. La prevalenza del virus è assolutamente stabile."

Tale bassa prevalenza è confermata anche da un altro dato e cioè dalla percentuale di sieropositività tra le reclute, rimasta costante negli anni: (6)

(Luca Rossi:) "È ragionevole pensare che lo 0,19% sia il tasso di sieropositività tra la popolazione eterosessuale?"

(Patricia L. Fleming:) "Si, è ragionevole".

Considerando che le reclute e le partorienti sono un campione molto rappresentativo della popolazione eterosessuale, questo significa semplicemente assenza di epidemia nella popolazione generale.

Quando Luca Rossi chiede a Meade Morgan di fargli controllare le previsioni erronee effettuate negli anni precedenti, il capo dello Statistics and Data Management Branch della Divisione Aids dei CDC, risponde che non è possibile: (7) "Ce l'abbiamo, ma sono documenti interni, non per la pubblicazione. Generalmente a nessuno interessa quello che abbiamo fatto nel passato: vogliono sapere cosa prevediamo per il futuro" (sic!).

Anche in Italia le stime sono state corrette ogni anno, con l'implicita contemporanea ammissione che erano sbagliate quelle degli anni precedenti (nel pieno dell''epidemia', le stime dei sieropositivi sono andate sempre calando, dal 1987 al 1998!(8).

Quest'anno (il 4/5/99) c'è stata una novità: è comparso un articolo sul "Corriere della Sera" in cui veniva ammesso quanto era stato negato con veemenza, fino ad allora, per 14 anni. Ecco il titolo: "Aids, GLI ITALIANI TRA ALLARMISMO E IGNORANZA" e il sottotitolo: "L'epidemiologo: Si è esagerato con il terrorismo, ci vorrebbe una nuova campagna di informazione". All'interno dell'articolo si riportano alcune dichiarazioni, che segnalano il brusco cambiamento di rotta. Il prof. Rezza (direttore del Centro Operativo Aids) dichiarava: "Forse abbiamo esagerato con il terrorismo. Ci vorrebbe una nuova campagna di informazione, basata su dati più oggettivi". Paolo Lusso, docente di malattie infettive a Bologna e responsabile della ricerca sull'Aids al San Raffaele di Milano, allievo di Gallo, invita alla cautela: "Negli anni scorsi c'è stato un allarmismo esasperato, seguito da un ottimismo parimenti ingiustificato. Prima la peste e gli untori, poi il vaccino dietro l'angolo. Colpa delle autorità sanitarie".

In altre parole: questi studiosi esortano a smettere con l'allarmismo, nella speranza che nessuno ricordi quanto da loro sostenuto nel passato (confidando nella scarsa memoria degli italiani, naturalmente).

Le stesse autorità sanitarie che contribuivano ad allarmare il pubblico sostenendo l'esistenza di un'epidemia in fase di espansione, sapevano bene che i dati, da loro stessi forniti, la negavano.

Per evitare equivoci: gran parte dei 'dissidenti' sostengono che l'epidemia di 'sieropositività' in Occidente non si è verificata (da quando i test sono divenuti disponibili per indagini di massa il tasso di sieropositività è rimasto stabile), mentre quella di Aids ha avuto proporzioni molto ridotte ed è rimasta confinata a certi particolari gruppi a rischio, indice inequivocabile di una sua origine non infettiva. L''esplosione epidemica' africana sarebbe dovuta -sempre secondo i dissidenti - a "stime" alte a piacere e ad una definizione ed una modalità di diagnosi molto differenti, rispetto a quelle utilizzate nei paesi occidentali. In altre parole, l'Aids in Occidente e l'Aids in Africa sarebbero entità non confrontabili (una buona parte di casi classificati come Aids in Africa non sarebbero tali in Europa) anche se le autorità sanitarie le considerano una stessa malattia e l'OMS continua a raggrupparle assieme.


5. Irregolarità riguardanti il vaccino

È utile premettere che il vaccino per l'Aids è sempre stato concettualmente irrazionale ed è facile spiegarlo: perché dovrebbero essere di qualche utilità gli anticorpi da vaccino, se si è sempre sostenuto che gli anticorpi contro il virus, rivelati dal famoso test, sono inefficaci nell'impedire la malattia e sono la base per una prognosi infausta? La risposta è che non c'è nessuna ragione plausibile neanche nell'ambito della teoria ufficiale. (9) La ragione del vaccino sta appunto nell'utilità degli anticorpi. Se non c'è quella, manca l'essenziale.

Sarà utile ricordare, inoltre, che i vaccini comportano rischi di reazioni collaterali, rischi di cui è indispensabile tenere conto, specie con gli immunodepressi.

Bene, tenendo presenti questi aspetti teorici non marginali, è interessante ricordare di cosa sono stati accusati nel 1991 Robert Gallo del National Cancer Institute di Bethesda (USA) e Daniel Zagury, dell'università parigina Pierre-et-Marie Curie. (10) Avevano sperimentato su bambini dello Zaire un vaccino ottenuto per esperimenti sulle scimmie, "nel massimo segreto". Zagury si difese dalle accuse della comunità scientifica occidentale affermando che aveva ottenuto "il pieno supporto del comitato etico zairese" ! (11)

Si può rimanere esterrefatti da simili affermazioni, ma Zagury si dimostrò presto ancora più disinvolto, sempre con la collaborazione di Gallo: almeno due pazienti con Aids da loro trattati con un vaccino sperimentale morirono per complicazioni legate al trattamento sperimentale. Queste gravissime accuse sono sostenute dalle prove raccolte da un dermatologo francese, Jean Claude Guillaume, il quale aveva visitato un paziente che presentava delle lesioni necrotiche inusuali alla pelle; Guillaume non era stato in grado di effettuare una diagnosi, ma aveva fatto fotografie e preso dei campioni, che erano stati conservati. Il paziente era morto. Il mistero si era approfondito quando, alcuni mesi dopo, Guillaume aveva saputo da un collega che questo ultimo aveva visto un caso identico, anche quello fatale. Tutto gli si chiarì quando trovò una copia della rivista medica "The Lancet" in cui si parlava dell'esperimento di Zagury (e di ben altri 13 luminari, Gallo compreso), che consisteva nell'utilizzare, come vettore delle proteine dell'Hiv, un altro virus, processato geneticamente e inattivato. Immediatamente capì che quelle lesioni erano da 'vaccinia gangrenosa' (provocata – in immunodepressi – da virus antivaioloso vivo). Zagury, che allarmato telefonò a Guillaume, assicurò che i virus utilizzati in quegli esperimenti erano stati inattivati e l'ipotesi del dermatologo era assolutamente impossibile. Ma i risultati dello studio istologico dei tessuti dimostrarono la presenza di virus vaccinico nelle cellule epiteliali del paziente confermando quanto sospettato. (12)

Bene, nel rapporto preliminare (pubblicato nel luglio 1990 su "The Lancet", appunto (13), si era precisato che una morte e 6 infezioni opportunistiche erano avvenute nel gruppo di controllo mentre nessuna complicazione e tantomeno decessi venivano menzionati nel gruppo dei vaccinati.

Oltre all'inganno della relazione fraudolenta, bisogna osservare che i due incidenti (da mancata inattivazione del virus) sono troppo strani per essere considerati dei semplici incidenti, primo perché sono avvenuti in laboratori altamente specializzati e con personale esperto, secondo perché sono avvenuti a mesi di distanza l'uno dall'altro. (14) Questi elementi assommati alla mancanza di scrupoli etici degli autori, inducono inquietanti interrogativi e gettano ombre sinistre sul mondo e sul modo della ricerca medica. Infatti, se in quei laboratori al massimo livello non sono stati capaci di inattivare il virus vaccinico in più di una occasione, dimostrando una incompetenza e una leggerezza incredibili, di chi possiamo fidarci? Non dimentichiamo che ancora qualche anno dopo, Gallo aveva sostenuto a una conferenza sul tema che "l'unico modo di capire se un vaccino funziona è provarlo sul campo" (15) (ovvero sperimentarlo su popolazioni del terzo mondo, impossibilitate a dare un valido consenso informato, anche se le premesse teoriche e sperimentali sugli animali sono pessime).

Che non ci fosse nessun convincente appiglio teorico, come dicevamo, per poter sostenere le diverse sperimentazioni sugli umani, lo confermava a chiare lettere Dani Bolognesi, un collega e amico di Gallo, alla medesima conferenza tenuta nel 1994. Secondo l'esperto, il vaccino era "in un pantano" (16) sia dal punto di vista della ricerca che dei risultati! Per inciso, ora siamo alla fine del 1999 e il vaccino non c'è ancora, nonostante i ricorrenti ottimistici annunci.

Tornando a Gallo e Zagury, che conseguenze hanno avuto per la loro condotta? Hanno continuato a essere ospitati sulle principali riviste scientifiche, a proporre i loro esperimenti e a pontificare come niente fosse accaduto.


6. Le pesanti influenze economiche condizionanti la ricerca

Le pesanti implicazioni economiche nelle ricerche sono state ampiamente denunciate, tuttavia appaiono più evidenti quando sono ammesse dagli stessi esponenti degli istituti governativi.

Meade Morgan, dei CDC confessa a Luca Rossi: (17)

"Molti si sono lamentati perché sostengono che non rappresentiamo correttamente le donne: e così, nella nuova definizione [dell'Aids, quella del 1993], abbiamo aggiunto il carcinoma uterino, che è una malattia caratteristicamente femminile."

Perché mai?

"Ci sono lobby molto forti di lesbiche."

"Ma le lesbiche non hanno l'Aids."

"No, è proprio di questo che si lamentano ... e loro pensano che sia una discriminazione."

Perché? Vogliono avere l'Aids?

"Non vogliono l'Aids, ma i soldi."

Quando gli viene chiesto di esprimersi su Fauci, potente direttore del National Institute of Health, così si esprime Meade Morgan: (18)

"... il suo lavoro è ottenere i soldi per la sua organizzazione, non c'è dubbio su questo. Penso che se ci fossero ragioni per sostenere la teoria delle concause, girerebbe la situazione a suo favore. Non direbbe: mi sono sbagliato. Direbbe: ecco qualcosa che dobbiamo studiare. E siccome non l'abbiamo ancora fatto, dateci il doppio per farlo."

Sophie Chamaret, ricercatrice del gruppo di Montagnier, sollecitata da Rossi a esprimersi sul comportamento degli americani (in particolare Gallo e Fauci), dice: (19)

"Negli Stati Uniti hanno un contratto, se non trovano niente entro un certo periodo, se non hanno pubblicazioni interessanti o un avanzamento del lavoro, arrivederci signori, è finita. Dunque bisogna che trovino qualcosa. Per questo diventano ladri. Hanno bisogno di trovare qualcosa, qualsiasi cosa." (20)

Qualsiasi cosa altrimenti diventano ladri!

Qualcosa di simile aveva detto Duesberg, questa volta a proposito degli interessi francesi: (21)

"Ci sono pressioni enormi. Pensi soltanto all'Istituto Pasteur di Parigi, dove lavora Montagnier. Ogni anno ricevono milioni di dollari dai test dell'Hiv. S'immagina? Dici che non c'è l'Hiv? Bravo Luc, tornatene nella Legione Straniera. Abbiamo bisogno di soldi, baby."

Quindi, sembra che talvolta la ricerca scientifica che porta al vero progresso non sia favorita dai fondi, ma paradossalmente ne sia negativamente influenzata.


7. Irregolarità riguardanti la dimostrazione del nesso causale Hiv-Aids

Uno degli argomenti di battaglia dei dissidenti è sempre stato il seguente: non c'è nessun lavoro che dimostri che l'Hiv causa l'Aids. Tuttavia, sia in testi recenti (22) che non recenti (23) tale dimostrazione viene attribuita ai lavori di Gallo (24) e Montagnier (25) (pubblicati nel 1983 e 1984).

In verità, nei suoi lavori su "Science" del 1984, Gallo non ha mai fatto direttamente una simile asserzione. Neppure Montagnier lo ha fatto: per dirla con i loro termini, l'Hiv (Lav o Htlv-III) era solamente "un buon candidato", nulla più. Successivamente cambiarono radicalmente idea. Gallo, per esempio, dichiarò nel 1993:

"La prova inconfutabile che ha convinto la comunità scientifica che questa specie di virus è la causa dell'Aids è venuta da noi. La giusta crescita di questo virus proviene da questo laboratorio principalmente tramite Mika Popovic. Lo sviluppo di un esame del sangue sensibile, ben funzionante. Non penso che ci sia qualcosa da discutere. Penso che la storia parli da sé." (26)

Possiamo osservare che se gli stessi fatti ed esperimenti vengono interpretati un giorno in una maniera, un giorno in un'altra, senza alcuna giustificazione, allora si tratta di operazioni politiche (nel senso spregiativo del termine), e non scientifiche.

Ben se ne è accorto Luca Rossi, alle cui stringenti domande sia Montagnier che Gallo non hanno saputo rispondere se non con argomenti circolari. Ecco cosa è arrivato al punto di dire Montagnier:

"Non è importante sapere la causa. È importante trovare una cura o un vaccino. Non è necessario dimostrare qual è la causa. Lo sarebbe per quelli come Duesberg, per farli tacere."

Insomma sarebbe importante sapere, ossia dimostrare, la causa dell'Aids solo per far tacere quelli come Duesberg! Non poteva chiarire meglio il suo pensiero.

Gallo non è da meno: a Luca Rossi che gli pone la stessa domanda (su quale sia la prova definitiva che l'Hiv causa l'Aids), (27) risponde:

"E già stata data."

"Ma dov'è?"

"Io non vedo alcun problema e non ne voglio parlare."

Gallo insomma rifiuta la risposta, anche se poco prima, nella medesima intervista, aveva ribadito che

"Un'ipotesi deve essere provabile e provata: il resto sono parole a vanvera."

Ognuno giudichi se i suoi comportamenti siano conseguenti a quest'ultima affermazione epistemologica.

Il commento di Rossi è notevole nell'evidenziare le fallacie logiche di queste pseudo-argomentazioni: (28)

"Qual è la prova? Che se avremo il vaccino vinceremo. Magnifico. Qual è la prova che l'Hiv causa l'Aids? La prova è che se avremo un vaccino contro l'Hiv preverremo l'Aids. Già. Ma qual è la prova? Qual è la prova che l'Hiv causa l'Aids? La prova è che un giorno l'avremo. Non ce l'abbiamo, finora. Abbiamo un vaccino? No, non l'abbiamo, ma l'avremo. Avremo un vaccino contro qualcosa che quando avremo il vaccino sapremo che cos'era. Sapremo perché abbiamo inventato questo vaccino solo dopo che l'avremo inventato. Sappiamo qual è la causa dell'Aids? Possiamo dimostrarla? No, ma quando avremo sconfitto l'Aids lo faremo. Per adesso non possiamo, ma siamo fiduciosi. La prova che siamo nel giusto è che quando avremo il vaccino sapremo qual era la malattia, sapremo da cosa ci deve difendere il vaccino. Prima dobbiamo trovarlo, poi sapremo perché l'abbiamo trovato…. Non sappiamo come lavora, il virus, ma sappiamo che se lo sconfiggeremo avremo la prova che bisognava sconfiggerlo, la prova finale."

A questo punto, poiché non possiamo fidarci troppo di scienziati interessati più alla politica della ricerca che all'accertamento della verità, è utile considerare cosa questi scienziati fecero nei lavori pubblicati nel 1983-84, considerati fondamentali e già citati.


8. Irregolarità riguardanti la scoperta del virus

Molti ricordano che si protrasse a lungo la discussione su chi, tra Gallo, Montagnier e pure Weiss, avesse effettivamente isolato per primo il virus Hiv. Tutti e tre si sono infatti considerati suoi 'co-scopritori'. Tutti e tre vantarono di aver ottenuto degli isolati pressoché identici a quello iniziale proveniente dal laboratorio Pasteur di Parigi. Pensavano allora che questo potesse essere una conferma reciproca, poiché una identità biologica, quale un virus, avrebbe dovuto essere come tutte le altre: stabile e identica a sé stessa. Invece all'epoca non sapevano ancora quello che essi stessi avrebbero sostenuto in seguito e cioè che neppure nello stesso paziente gli 'isolati' coincidono. Anzi, una enorme, incredibile variabilità sarebbe stata la regola. Nel caso dell'Hiv la differenza del corredo genetico arriverebbe al 10%, 13% e fino a oltre il 40% (29) (mentre fino allora differenze dell'1% nell'ambito della stessa specie venivano considerate come 'estrema variabilità' – il nostro patrimonio genetico differisce per il 2% da quello degli orangoo-tan e per l'1% da quello degli scimpanzée –). Come potevano allora i loro primi 'isolati' essere uguali, se provenivano, come sostenuto, da pazienti diversi in tempi differenti? "Si son rubati l'un l'altro dei diamanti falsi", è stato il sarcastico e puntuale commento di Duesberg.

Gli aspetti poco limpidi non si limitano a questo; una commissione governativa statunitense (nominata dall'OSI, Office of Scientific Integrity dell'NIH) appurò nel 1991 che nei laboratori di Gallo c'erano "differenze tra quanto venne descritto e quanto venne fatto" (nei lavori pubblicati nell'aprile 1984 su "Science"). Il collaboratore di Gallo, Popovic, venne accusato di "condotta riprovevole per dichiarazioni false e inesattezze" e si concluse che Gallo "come capo di laboratorio creò e favorì condizioni che diedero origine a dati falsi/inventati e a relazioni falsificate". Ciò nonostante, questa commissione si affrettava ad aggiungere nel rapporto che i risultati ottenuti con quei ... 'dati' e quelle relazioni falsificate non venivano compromessi! (30) Sotto un certo punto di vista non avevano tutti i torti: se infatti si fingesse che quei dati fossero veri, il risultato non cambierebbe, anche se opposto a quello vantato. Gallo stesso sostenne che quello descritto da Montagnier nel 1983 "non fu vero isolamento", mentre il suo sì. Eppure Gallo adottò esattamente le stesse procedure di laboratorio. Procedure che non gli avevano portato molta fortuna alcuni anni prima e che vale la pena di riconsiderare.

Quel che avvenne lo spiega Eleni Papadopulos Eleopulos, ricercatrice australiana ed uno dei maggiori critici della teoria infettiva: (31)

"Nel 1984 Gallo aveva già passato più di una decina d'anni nella ricerca dei retrovirus e del cancro. Era uno dei molti virologi coinvolti nel decennio della guerra contro il cancro del Presidente Nixon. Verso la metà degli anni '70 Gallo affermò di aver scoperto il primo retrovirus umano in pazienti affetti da leucemia. Affermava che i suoi dati provavano l'esistenza di un retrovirus che egli chiamò HL23V (11,21). Ora, proprio come avrebbe fatto più tardi per l'Hiv, Gallo usò le reazioni agli anticorpi per 'provare' quali proteine nelle colture erano proteine virali. E non molto tempo dopo altri proclamarono di aver trovato gli stessi anticorpi in molte persone che non avevano la leucemia. Comunque, pochi anni dopo si dimostrò che questi anticorpi capitavano in modo naturale ed erano diretti contro molte sostanze che non avevano niente a che fare con i retrovirus.(22,30) Allora ci si rese conto che l'HL23V era un grosso errore. Non vi era alcun retrovirus dell'HL23V. Così i dati di Gallo diventarono motivo di imbarazzo e ora l'HL23V è scomparso. Quello che ci sembra interessante è sapere che la dimostrazione usata per affermare l'esistenza dell'HL23V è lo stesso tipo di dimostrazione data per provare l'esistenza dell'Hiv. In effetti la prova dell'HL23V era migliore di quella dell'Hiv".


9. Le tre 'prove' dell'isolamento virale

È possibile comprendere il procedimento seguito da Gallo e Montagnier nella loro 'dimostrazione' senza entrare in dettagli molto tecnici. È sufficiente spiegare che i due ricercatori utilizzarono tre criteri principali (32) soddisfatti i quali sostennero di aver appunto isolato il virus Hiv. Uno di questi era il risultato positivo a un test anticorpale (quello che sarebbe divenuto il famoso test dell'Aids). Ebbene, secondo quanto riportato nella pubblicazione, questo era incredibilmente pronto sullo scaffale prima ancora che il virus fosse isolato per la prima volta. (33) Come Gallo abbia fatto a ottenere dai conigli degli anticorpi specifici contro un virus che ancora nessuno – lui compreso – conosceva, resta un gaudioso mistero, conseguenza di una capacità divinatoria che agli umani è solitamente negata.

Ecco il commento di Valendar Turner, medico australiano e coautore con Eleni Eleopulos di alcuni dei più importanti lavori sulla invalidità dei test dell'Aids: (34)

"Per ottenere degli anticorpi contro l'Hiv, uno deve iniettare ai conigli dell'Hiv puro. Virus puro significa virus isolato e se ai conigli venne iniettato del virus puro, perché dovrebbe essere necessario produrre anticorpi per definire l'isolamento del virus che era già stato isolato?"

Comunque quel test si rivelò aspecifico. (35) Zolla Pazner al riguardo scrisse nel 1989: "Confusione sulla identificazione di queste bande (n.d.a.: si riferisce ai risultati del test dell'Aids) è risultata in conclusioni scorrette negli studi sperimentali. [...] potrebbe essere necessaria la reinterpretazione dei risultati già pubblicati". (36) Risposte anticorpali simili (risultato positivo al test dell'Aids) sono state ottenute iniettando ad animali di laboratorio "vaccino" oppure anche solo … "eccipiente" (37).

Oltre al test sopra menzionato, chiaramente invalido, gli stessi ricercatori utilizzarono, come detto, altri due criteri, o 'proprietà', che dovevano corroborare la loro convinzione di avere 'purificato' proprio il nuovo virus e non altro. Tuttavia la loro mancanza di specificità è stata dimostrata in modo inequivocabile negli anni passati. (38)

Ora non è neppure necessario ricorrere a una argomentazione per demolire il significato di tali "esperimenti probatori" e costrutti teorici: lo stesso Montagnier ha recentemente ammesso che in fin dei conti non fece quanto ha sempre affermato di aver fatto e che gli altri continuano ad attribuirgli! Infatti riferendosi alle tre proprietà che proverebbero l'esistenza dell'Hiv, afferma: (39)

"Non è una proprietà, ma l'assemblaggio delle proprietà che ci permise di dire che si trattava di un retrovirus […]. Se ciascuna proprietà è presa isolatamente, esse non sono specifiche. È il loro assemblaggio che dà la specificità."

E ancora: "L'assemblaggio ha una logica perfetta!"

Un ragionamento identico viene applicato anche alla lotta alla mafia (solamente in Italia, però): un delinquente pentito è persona assolutamente inaffidabile, ma se dice cosa che è confermata da altro delinquente pentito, anch'esso inaffidabile, la cosa – secondo alcuni giudici – diventa vera, una prova, rafforzata ancor di più se si aggiunge la testimonianza di un terzo delinquente pentito. I risultati sono stati fallimentari nei due campi (legale e scientifico), ma il metodo finora non è stato abbandonato.


10. La fotografia del virus

È quasi inevitabile a questo punto obiettare che sono state mostrate diverse fotografie dell'Hiv, diventa necessario perciò ridimensionare anche questo argomento.

Il virus, per essere isolato, deve prima essere concentrato e purificato con una procedura che dal punto di vista teorico e tecnico è relativamente semplice (si tratta di una particolare tipo di centrifugazione e poi di una verifica al microscopio elettronico).

Ma Montagnier non riuscì a trovarlo proprio in quel materiale concentrato dove avrebbe dovuto esserci 'virus puro' (da dove, per esempio, vengono ricavati i reattivi per i vari test…): (40)

"Vedemmo alcune particelle, ma non avevano la morfologia tipica dei retrovirus. […] Ripeto, noi non purificammo."

In altre parole Montagnier dice : noi non isolammo l'Hiv, noi non dimostrammo la sua esistenza. È difficile essere più chiari.

La fondamentale osservazione – che solitamente viene taciuta – è che le particelle fotografate e spacciate per virus Hiv possono trovarsi sia in colture cellulari 'infette' sia in quelle 'non infette', (41) indice di non specificità. Ed è perciò che l'intervistatore, Daniel Thai, chiede: (42)

"Non poteva essere qualcosa d'altro invece di un retrovirus?"

Luc Montagnier: "No… beh, dopo tutto, sì… poteva essere un altro virus a sporgere [dalla cellula]. Ma c'era un… noi abbiamo un atlante."

Meno male che aveva un atlante su cui poter controllare di aver visto giusto!


11. Conclusione

In questa sede abbiamo sostenuto che anche nella ricerca scientifica sono molto comuni comportamenti scorretti, del tutto simili a quelli riscontrabili nel resto della società, anche se molti continuano a rifiutare quest'idea. Fin dal 1987 sono affiorate irregolarità e autentiche frodi nella ricerca sull'Aids, ma la loro pubblicazione non ha sortito l'effetto di provocare una reazione correttiva. Eppure la gravità delle denunce e la pesantezza delle implicazioni è manifesta anche nei pochi esempi – scelti tra i tanti possibili – che sono stati qui descritti (irregolarità riguardanti l'epidemiologia, il vaccino, la distribuzione dei fondi, la dimostrazione del nesso causale Hiv-Aids, la stessa dimostrazione dell'esistenza dell'Hiv). I responsabili non sono stati perseguiti, bensì incoraggiati nei loro comportamenti. La censura operata sui grandi mezzi di comunicazione è stata sufficiente – almeno sinora – a guidare l'opinione pubblica e quella scientifica.

Se ne è reso conto in modo drammatico lo stesso Luca Rossi, il quale, sicuro di poter finalmente rivelare ai suoi lettori il frutto della sua accurata inchiesta con uno scoop eccezionale (dalle pagine di un importante settimanale), si è sentito rispondere dal suo direttore: (43)

"Caro, dice, ricordati una cosa. Noi siamo la verità, qui. La verità. Se pubblichiamo una cosa del genere è un casino. E io devo pensare al mio culo di direttore. Questo dice. Caro."

La conclusione sconfortante è che noi dobbiamo arrenderci al fatto che molti hanno le loro parti meno nobili da difendere? Questo atteggiamento andrebbe forse bene se il nostro compito di ricercatori e di scienziati fosse solo quello di dare un resoconto delle umane deficienze, ma è palesemente insufficiente per gli scopi di una società libera dove il progresso della verità può sorgere solo dalla discussione libera e spregiudicata. Questa discussione è stata ed è scoraggiata. Non è certamente la prima volta che ciò accade nella storia della scienza. A nostro parere, tuttavia, la connessione tra salute, sesso, morte rende l'episodio delle distorsioni nella ricerca sull'Aids particolarmente grave. Il tutto è stato aggravato dall'atteggiamento conformistico della quasi totalità degli organi di informazione.

Il coraggioso libro di Luca Rossi, dal quale abbiamo preso le mosse, si conclude infatti con accenti sconfortati e pessimistici, che ne accrescono, se possibile, la qualità intellettuale. Ma la lettura del suo coinvolgente libro e l'indagine su questo caso di inganno scientifico insegnano per lo meno che l'atteggiamento critico nei confronti delle opinioni, delle dottrine e delle teorie dominanti deve essere continuamente rinnovato per essere autentico. Si tratta, oltre tutto, di un atteggiamento che è indispensabile trasmettere a chi ha la responsabilità della formazione delle nuove leve di intellettuali e ricercatori.

 


Note.

(1) Comunicazione personale a Fabio Franchi. back

(2) L. Rossi, Sex virus, Milano, Feltrinelli, 1999 p. 383. back

(3) P. Duesberg Human Immunodeficiency virus and acquired immunodeficiency syndrome: Correlation but not causation, "Proceedings of the National Academy of Sciences", 1989; 86:755-764. back

(4) N. Hodkinson (elenco dei 12 articoli pubblicati sul "Sunday Times" dal 1992 al 1994). http://www.virusmyth.com/aids/index/nhodgkinson.htm. back

(5) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 105. back

(6) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 112. back

(7) L. Rossi, Sex virus, cit. p. 118. back

(8) Centro Operativo AIDS. ISS. Aggiornamento dei casi di AIDS notificati in Italia) Notiziario dell'Istituto Superiore di Sanità (Aggiornamenti periodici). back

(9) L. De Marchi & F. Franchi, AIDS la grande truffa, Roma, SEAM, 1996, p 69-79. back

(10) Vaccino anti-AIDS inchiesta in Francia, "Il Medico d’Italia", 1991; 1904: 2. back

(11) Death in vaccine trial trigger French enquiry, "Science", 1991;252:501-2. back

(12) Death in vaccine trial trigger French enquiry, cit. back

(13) O. Picard, P. Giral, M.C. Defer et alii (14 autori tra cui anche R. Gallo!), AIDS vaccine therapy: phase I trial, "The Lancet", 1990; 336:179. back

(14) P. Dri, Il vaccino anti-AIDS nella bufera, "Tempo Medico", 1 maggio 1991. back

(15) R. C. Gallo intervento in "AIDS and related diseases 1994" (Meeting). CRO, Aviano (Italy), 9 Aprile, 1994 (registrazione personale di Fabio Franchi). back

(16) D. Bolognesi, intervento in "AIDS and related diseases 1994" (Meeting). CRO, Aviano (Italy), 9 Aprile, 1994 (registrazione personale di Fabio Franchi). back

(17) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 119. back

(18) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 120. back

(19) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 392. back

(20) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 390. back

(21) L. Rossi, Sex virus, cit., pp. 254-5. back

(22) De Vita VT, Jr., Hellman S., Rosenberg SA. Curran J., Essex M. and A S Fauci. AIDS: Biology, Diagnosis, Treatment and Prevention, Lippincott-Raven Publishers, 19974, pp 177-195. (un autore è A. Fauci, ex direttore del National Institute of Health). back

(23) Mandell/Douglas/Bennet. Principles and Practice of Infectious Diseases, Wiley Medical, 19852, p 1670. back

(24) M. Popovic, M. G. Sarngadharan, E. Read, et alii, Detection, Isolation,and Continuous Production of Cytopathic Retroviruses (HTLV-III) from Patients with AIDS and Pre-AIDS, "Science", 1984; 224: 497-500; R. C. Gallo, S. Z. Salahuddin, M. Popovic, et alii, Frequent Detection and Isolation of Cytopathic Retroviruses (HTLV-III) from Patients with AIDS and at Risk for AIDS, "Science", 1984; 224: 500-502. back

(25) F. Barré-Sinoussi et alii (including L. Montagnier), Isolation of a T-lymphotropic retrovirus from a patient at risk for aquired immune deficiency syndrome (AIDS), "Science", 1983; 220: 868-871. back

(26) "The Plague"(La piaga, il flagello), documentario televisivo, USA 1993. back

(27) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 319. back

(28) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 395. back

(29) E. Papadopulos-Eleopulos, V. Turner, J. M. Papadimitriou, D. Causer, The Isolation of HIV. Has it Really Been Achieved? The Case Against, "Continuum", Sept/Oct, 1996; 4(3):1-24. back

(30) E. Papadopulos-Eleopulos, V. Turner, J. M. Papadimitriou, Has Gallo Proven the Role of HIV in AIDS? "Emergency Medicine", 1993; 5: 5-147. back

(31) C. Johnson, Is HIV the Cause of AIDS? An interview with Eleni Papadopulos-Eleopulos, "Continuum", Autumn 1997. back

(32) I tre principali criteri di isolamento utilizzati da Gallo e Montagnier: a) reazione anticorpale al test dell’AIDS (e ricerca dell’antigene), b) attività transcriptasica inversa, c) presenza di particelle similvirali in colture cellulari ‘infettate’ e stimolate con PHA. back

(33) E. Papadopulos-Eleopulos, V. Turner, J. M. Papadimitriou, Has Gallo Proven the Role of HIV in AIDS? "Emergency Medicine", cit. back

(34) V. Turner, What Is the Evidence for the Existence of HIV?, http://www.virusmyth.com/aids/data/vtevidence.htm. back

(35) V. Turner, Do HIV Antibody Tests Prove HIV Infection?, http://www.virusmyth.com/aids/data/vttests.htm. back

(36) S. Zolla-Pazner et alii, Reinterpretation of HIV Western Blot Patterns, "New England Journal of Medicine", 1989; 320:1280-1. back

(37) J. Maddox, Aids research turned upside down, "Nature", 1991; 353:2. back

(38) E. P. Eleopulos, V. Turner, and J. M. Papadimitriou, Is a positive Western Blot Proof of HIV Infection?, "Bio/Technology", 1993;11: 696-707; F. Franchi, Alla ricerca del virus HIV, "Leadership medica", 1998,7:18-33. back

(39) D. Thai (interview to Luc Montagnier), Did Luc Montagnier discover HIV? "I repeat, we did not purify", "Continuum", 1997; 5: 30-4. back

(40) E. P. Eleopulos, V. Turner, and J. M. Papadimitriou, Is a positive Western Blot Proof of HIV Infection?, "Bio/Technology", 1993;11: 696-707. back

(41) D. Thai (interview to Luc Montagnier), Did Luc Montagnier discover HIV? "I repeat, we did not purify", "Continuum", 1997; 5: 30-4; F. Franchi, Alla ricerca del virus HIV, cit. back

(42) D. Thai (interview to Luc Montagnier), Did Luc Montagnier discover HIV? "I repeat, we did not purify", "Continuum", 1997; 5: 30-4; F. Franchi, Alla ricerca del virus HIV, cit. back

(43) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 314. back