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Il capitalismo e la crisi ambientale
Murray Bookchin
aprile 2004

Murray Bookchin, direttore emerito dell'Istituto per l'Ecologia Sociale, è cofondatore dell'ISE e professore emerito al Ramapo College del New Jersey. È stata una voce profetica nel movimento ecologista per più di trent'anni, ed è autore di numerosi libri ed articoli. Alcune sue opere sono tradotte in italiano presso l'editore Eleuthera: Democrazia diretta (2001), L'ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia (1995), e Per una società ecologica (1989). 
 


Al di là del legame altamente tecnologico esistente fra capitalismo e guerra, non vi è alcuna caratteristica specifica che accomuni o separi i due. La scoperta dei metalli (rame, bronzo, ferro e simili) per forgiare strumenti ha portato invariabilmente al loro uso come armi.  Il capitalismo in quanto storia della competizione ha talmente accelerato lo sviluppo dell’industria bellica che risulta difficile credere che l’Età del Ferro sia realmente iniziata solo 5000 anni fa circa e che l’Età del Bronzo, prima ancora, sia durata solo pochi secoli — con aumenti colossali del numero delle guerre.

Nel giro di un solo secolo, l’attuale associazione delle guerre con forme di competizione capitalistica ha prodotto ciò che Dwight D. Eisenhower, il presidente americano degli anni 50, in modo assolutemente calzante chiamava il “complesso militare-industriale.” Le tecnologie della guerra  e del capitalismo sono diventate totalmente connesse.  In effetti è abbastanza corretto affermare che la guerra e la tecnologia sono totalmente connesse. Il presente conflitto in Iraq ha generato una situazione in cui ogni passo nella sofisticazione della tecnica carattterizza l’età in cui si realizza. Di conseguenza, oggi non abbiamo più un’Età del Ferro, iniziata alcune migliaia di anni fa, ma un’Era atomica, iniziata appena pochi decenni fa. Oggi le armi strategiche come i missili possono essere sparate dalla spalla di un uomo che li regge.

Altri progressi tecnologici “futuristici” progettano l’emergere di un’Era Solare e di un’Era dell’Idrogeno — con la prospettiva di guerre basate su questi combustibili. L’industria capitalistica si è accaparrata tutto ciò che ha trovato utile in una misura che solo poche generazioni fa non poteva essere immaginata — e lo stesso ha fatto con le guerre che nessuno ormai crede possano essere evitate fintanto che continuano a sussistere relazioni sociali di tipo capitalistico.

Ma l’uso di una base di risorse tanto diversificata è incompatibile con un’economia che vive di competizione — ovvero per la crescita in nome della crescita stessa. Il capitalismo non soltanto ricostruisce se stesso continuamente (come Karl Marx mise in evidenza nel Capitale) ma si ricostruisce su una base in continua espansione. E non solo espande la propria base di risorse ma si diversifica ulteriormente ad una velocità straordinaria. Ciò che oggi può solo essere immaginato diventerà quasi certamente una realtà in futuro, in modo così malleabile e creativo che non si vedono limitazioni capaci di contenere i peggiori orrori.

In una società basata sulla crescita in nome della crescita, senza costrizioni morali che la inibiscano, il mondo intero è soggetto a essere ricostruito — e nel peggiore dei modi. La “prima natura”, come la chiamava Cicerone (il mondo naturale che si è evoluto senza l’intervento della mano umana) e la “seconda natura” (la forma dell'evoluzione naturale guidata dal pensiero e dalle azioni umane) si trovano oggi in aspra contrapposizione al livello delle forme di vita complesse. La nostra “seconda natura” minaccia di semplificare drasticamente la “prima natura” dalla quale noi stessi come specie e tutte le altre forme di vita complesse siamo emersi. Eppure, ciò che è clamorosamente evidente è che nessuna delle due forme di natura può esistere senza l’altra. È un’idiozia dei moderni primitivisti quella secondo la quale dovremmo tornare totalmente al passato primordiale per evitare il suicidio della specie — anche se questo non è più possibile senza che si verifichi quello stesso suicidio che un tale ritorno produrrebbe. Non possiamo tornare alle caverne così come non possiamo creare il paradiso tecnocratico di Buckminster Fuller senza arrivare all’auto-annichilimento.

Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è una trascendenza o Aufhebung di entrambe le nature, la “prima” e la “seconda”, per arrivare a una fusione e a un progresso oltre queste due in una “natura libera”, in cui gli elementi migliori delle due diano vita a un’età guidata dalla spontaneità della “prima natura” e dalla razionalità della “seconda.” Mi riferisco a una natura pensante che può percepire la realtà attorno a sé e scegliere in modo ragionato le alternative e le improvvisazioni insite nella creazione di un’evoluzione sapiente della vita. Questa nuova natura rifiuterebbe le grandi conurbazioni che hanno preso il posto della terra coltivabile, i rifiuti che inquinano vaste aree degli oceani, i veleni letali che infestano la catena alimentare umana, i cambiamenti climatici che causano il cancro della pelle e dei polmoni — eccetera.

Lasciatemi spiegare che questa nuova natura tenterà di armonizzarsi combinando le caratteristiche migliori e più razionali della prima e della seconda natura. Combinerà ciò che è strettamente umano, come ad esempio le macchine, con ciò che è strettamente non-umano, come la fotosintesi, in un sistema orientato in senso antropo-ecologico di ecologia sociale. Sarà allo stesso tempo restaurativo e creativo, facendoci ritornare a un tempo in cui l’umanità si trovava ancora sulla soglia tra la biologia e l’antropologia. Sarà una cultura creata in modo cosciente  e costruita in modo spontaneo. E sarà una cultura che combina il gioco libero della prima natura con il progetto ragionato della seconda, che risponde ai bisogni dell’istinto e della mente, dello spirito e del pensiero, del riconoscimento di una necessità e della conoscenza dell’universo aperto dell’incognito e delle contraddizioni.

E inoltre, formerebbe un unico tessuto della conoscenza appena distinguibile di un mondo remoto e del ricco discernimento di un mondo che è ancora in divenire. Come la filosofia, sarebbe la conoscenza di ciò che è stato assieme a ciò che è in via di realizzazione. L’umanità è sempre stata su questa soglia, ed è proprio questo che ha reso la nostra specie tanto particolare e creativa. La parola ecologia è essenzialmente un modo naturalistico per dire dialettica — un continuum in cui ciò che era, ciò che è e ciò che sarà è una presenza pulsante in mezzo a una realtà vera che è sempre un continuum. Proprio come la parola sociale in ecologia sociale è un altro modo per dire socialismo, così la parola ecologia è un altro modo per dire sviluppo dialettico e continuo.

Nota: I libri che meglio sposano le idee qui espresse sono The Ecology of Freedom, From Urbanization to Cities, e The Philosophy of Social Ecology, scritti da me.  Non conosco altri libri (esclusi quelli scritti da Janet Biehl) che presentano aspetti di ecologia sociale come un corpo di idee praticabile e ricettivo. La scuola che meglio rappresenta le idee qui avanzate è l’Institute for Social Ecology di Plainfield, Vermont. Vi operano alcuni singoli insegnanti che offrono eccellenti corsi sull’argomento in Europa e negli Stati Uniti, ma per il loro impegno nei confronti dell’Ecologia sociale, non posso farmi garante. Al termine ecologia sociale sono stati associati significati che non hanno alcun rapporto con quanto inteso da me. So di molti casi in cui il concetto di “ecologia sociale” è stato utilizzato da socialdemocratici tedeschi con i quali non ho alcun rapporto.

(trad. a cura di Giulia Beretta)